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15 nov 2012

Quando non c'è limite al peggio

di Luciano Caveri

Sono ormai passati sette anni da quando, per la prima volta, tre Regioni italiane (Valle d'Aosta, Piemonte e Liguria) e due francesi (Rhône-Alpes e Provence-Alpes-Côte d'Azur) decisero - in quel luogo simbolico che è il Forte di Bard, "macchina da guerra" trasformata in luogo di cultura - di unirsi in un'Euroregione. All'epoca non era ancora operativo quello strumento giuridico europeo, il "Gect - Gruppo europeo di cooperazione territoriale", che di lì a poco avrebbe consentito di avere rapporti rafforzati a cavallo delle vecchie frontiere. L'idea era quella di essere i primi a sfruttare questa nouvelle vague europeista nel solco di un vecchio pallino del "Consiglio d'Europa", quello della cooperazione transfrontaliera, ora finalmente cavalcata dall'Unione europea a completamento in fondo di quella "politica regionale", resa concreta nel caso delle "nostre" Regioni da anni di lavoro comune con lo strumento comunitario noto come "Interreg". Purtroppo avevamo - ed io per primo - sottostimato la stupidità dei rispettivi Stati nazionali. Benché il "Gect" fosse un regolamento europeo e come tale immediatamente applicabile, restavano spazi autorizzatori che Roma e Parigi in questi lunghi anni hanno adoperato con abilità sino all'attuale evidenza: l'Euroregione (termine che ai burocrati statali faceva orrore almeno quanto il termine "politico" che chiedevano di cancellare a piè sospinto dallo Statuto del "Gect") non è ancora stata riconosciuta ufficialmente. Vive certo, ma senza quello status giuridico che dovrebbe avere nel nome dell'Europa. Una cosa da voltastomaco, intollerabile e grave, che mi ripugna, ma che doveva essere un campanello d'allarme che non abbiamo sentito. Quegli stessi burocrati che hanno messo sabbia negli ingranaggi sono oggi al Governo con Monti: sono quelli che non solo vorrebbero sostituire al regionalismo un tenue e sterilizzato decentramento amministrativo, ma sono gli stessi che mai e poi mai cederanno un grammo di sovranità nazionale a Euroregioni come la nostra che servono solo a territori omogenei per millenni a svolgere lavori in comune su temi concreti (trasporti, ambiente, scuola e formazione, sanità...). Ma no, niente da fare, i boiardi statalisti non vogliono e questi stessi Stati sono gli stessi che nel Consiglio europeo stanno pian piano spegnendo l'integrazione europea. Una manovra a tenaglia di rara stupidità: un attacco dal basso alla democrazia regionale e comunale e uno dall'alto all'Unione europea e ai suoi principi. A casa questi "tecnici", complici in questo caso del sistema prefettizio francese, perché il nazionalismo becero che cavalcano puzza lontano un miglio di ritorno al passato. Svolte autoritarie in guanti bianchi mi auguro non passeranno mai, ma fanno perdere tempo prezioso. Nell'Euroregione Alp-Med la piccola Valle d'Aosta portava in dote la propria storia autonomistica e il bilinguismo, oggi dobbiamo essere di pungolo alle altre Regioni per trovare forme e modalità per ricorrere alla Corte europea di Giustizia contro ritardi e impedimenti di Italia e Francia per un "Gect" dovuto e frutto del diritto comunitario. Bisogna dire «basta» alle prevaricazioni segno di forme di neocentralismo pericoloso. Un Ministro italiano di elevatissimo rango, giorni fa ad una delegazione di una Regione europea in visita a Roma, avrebbe esplicitato il disegno di cancellazione delle Regioni italiane in una riforma costituzionale. Roba da camicia di forza, ma non stento a crederci.