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06 nov 2012

La forza dell'epitaffio

di Luciano Caveri

«Parmi les poètes qu'on peut rapprocher du courant parnassien, Edouard-Clément Bérard (1862-1952) ressent l'influence d'Anselme Perret: on lui doit le recueil "Les loisirs d’un solitaire" (1942) et les épitaphes en vers qui font du cimetière de Valgrisenche une sorte d'"Anthologie de Spoon River"». Così Joseph Rivolin ricorda l'autore più importante degli incredibili epitaffi - cioè le iscrizioni sepolcrali in forma di breve componimento in versi - del cimitero di Valgrisenche che raccontano la vita quotidiana di un nostro villaggio di montagna. Sono, specie nella logica non solo elogiativa, una ricchezza originale. Il riferimento a Spoon River ci sta: si tratta del celebre libro di poesie dell'americano Edgar Lee Masters che, appunto usando l'epitaffio, racconta la vita delle persone sepolte nel cimitero di un paesino, come realmente avvenuto a Valgrisenche. A me piacciono gli epitaffi, che sono come dei "Tweet" del passato per la loro secchezza. Leggete questo: «Nostalgia della vita in me riaffiora / e fa triste la tomba che mi onora». Lo ha scritto, ed è molto bello, il poeta Sandro Penna. E l'ironia tombale di Georges Bernanos: «Si prega l'angelo trombettiere di suonare forte: il defunto è duro di orecchie». Questo epitaffio è politico: «Sono figlio della libertà, ad essa devo tutto quello che sono». Firmato, a futura memoria, da Camillo Benso conte di Cavour. Bello è anche questo pensiero sulla tomba del filosofo Immanuel Kant: «Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me». Sconvolgente quel che figura sulla lapide di Primo Levi, morto suicida: "174517". Era il numero identificativo che Primo Levi portava tatuato dai nazisti sul suo braccio nel campo di sterminio di Auschwitz. Ma concludiamo in letizia raccontando il gioco - che andrebbe coltivato anche in Valle - degli epitaffi "in vita". Li faceva quello spirito caustico del grande giornalista Indro Montanelli. Sentite cosa scriveva dei "premi Nobel" per la letteratura, celebri poeti: «Qui riposa Eugenio Montale, baritono»; «Qui riposa il poeta Salvatore Quasimodo nella luce splendente dell'immortalità. Ed è subito sera». Sfotteva così un celebre azionista: «Qui non giace Pietro Calamandrei. Cercatelo nella tomba di sinistra». Così Montanelli rideva del suo maestro: «Qui riposa, per la pace di tutti, Leo Longanesi. Uomo imparziale, odiò il prossimo suo come sé stesso». E così prevedeva il suo stesso epitaffio: «Qui riposa Indro Montanelli. Genio compreso, spiegava agli altri ciò ch'egli stesso non capiva». Grande autoironia, merce rara.