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28 ott 2012

Non è solo questione di nemici

di Luciano Caveri

Tutto cambia da sempre, anche se non è mai successo che le cose mutassero con questa velocità e certo non ci si può disinteressare in un periodo come questo. Ne parlo spesso qui, ponendo la nostra autonomia in rapporto con l'esterno e con i tanti avvenimenti che condizioneranno il futuro della nostra comunità. Chi si distrae sarà travolto. Ma mi è venuto il dubbio che nell'incalzare degli eventi potesse essere sfuggito un punto per nulla banale: l'autonomia non è solo gridare contro i pericoli di un nemico alle porte. L'appello va bene ma esistono anche delle responsabilità nostre, perché autonomia è assunzione di responsabilità e non solo l'obbligo di reagire alle minacce. Certo che i nemici esistono: sono tanti e multiformi e, come ho detto non più tardi di ieri, contano su diverse tipologie di collaborazionisti locali. È sempre avvenuto e sarebbe inutile stupirsene. Ma è bene riflettere su che cosa avvenga dentro la "Cittadella dell'autonomia" per sapere come organizzarsi nei confronti della politica aggressiva nei nostri confronti. Viene giocata con diverse tattiche: una assomiglia alla ben nota "Politica del carciofo", come si dice di una modalità di azione che permette di arrivare al risultato voluto attraverso fasi successive, per piccoli passi. Un'espressione che deriva da una frase attribuita al re di Sardegna, Carlo Emanuele III, che alla fine del 1700 spiegò - non a torto, pensando alla successiva politica di Casa Savoia - che l'Italia era come un carciofo e come tale «andava mangiata una foglia alla volta». Ma direi che a questa tattica se ne n'è aggiunta una più aggressiva, politica e mediatica, che tende a svilire e ridicolizzare la nostra autonomia. Ecco perché bisogna che l'area autonomista, più libera di muoversi dei partiti nazionali e della loro politica dei due forni (uno ad Aosta e uno a Roma), deve "battere un colpo". Anzitutto lo deve fare, dimostrando di essere interprete di quella larga parte dei valdostani che lo votano, il movimento cui io stesso appartengo, l'Union Valdôtaine. So bene, perché lo vivo, che il partito di raccolta, che ha sofferto di fuoriuscite importanti e anche dolorose per i rapporti personali con alcuni, ha problemi da risolvere di dialogo interno. Il pluralismo non è la fissazione di pochi o tanti "dissidenti" (ho detto che il termine, testualmente "sedersi in disparte", non mi piace), ma penso che sia una precondizione per progetti e speranze che nutrono la vitalità dell'autonomia e poi quella resistenza per combattere anche aggressioni esterne. Tutto è più facile se si è capaci a pensare e a reagire in tanti e non è un gioco di personalismi. In palio non ci sono solo potere o poltrone, perché questo sarebbe avvilente. C'è invece da scommettere su azioni concrete importanti e l'UV ha dei doveri (unione viene dal latino "adunare") in un'area autonomista che si aggrega e disaggrega già per conto suo e che deve fare i conti con scelte decisive nei mesi a venire, compresa la riflessione su alleanze attuali e future.