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21 ott 2012

Non si vive solo di enogastronomia

di Luciano Caveri

L'altro giorno, in una domenica d'autunno, ho visitato il "Marché au Fort" di Bard, manifestazione che ho visto nascere quando mi occupavo dell'Associazione del Forte e che è cresciuta nel tempo, diventando sempre di più un punto di riferimento nel periodo autunnale. Con il vantaggio che non si tratta di una manifestazione comunale che fa piacere ai residenti o a quelli dei Comuni vicini, ma di una manifestazione che ha una sua ampiezza di visitatori di provenienza da fuori Valle. Banchetto dopo banchetto, non si può che apprezzare lo sforzo dei produttori e il ventaglio crescente dei prodotti, che illustrano con grande chiarezza un progresso della nostra agricoltura e dei diversi prodotti di trasformazione. Segno di una vivacità delle piccole e medie imprese che operano in quel vasto mondo della enogastronomia. Un fiore all'occhiello per la Valle, che ha nel celebre marchio label "Saveurs du Val d'Aoste" un punto d'incontro fra commercio, ristorazione e produttori che è un esempio virtuoso di come i comparti economici debbano parlare fra di loro. Leggo - e sono d'accordo - di come l'enogastronomia sia sempre più da collegare all'offerta turistica. In effetti, rispetto a molte zone montane deprivate ormai di radici rurali e di tipicità, questo è per noi un elemento che può arricchire la nostra immagine e il soggiorno concreto dei nostri clienti.

E tuttavia bisogna fare attenzione a crearsi eccessive aspettative, pensando da una parte al peso relativamente limitato del comparto agroalimentare rispetto al complesso dell'economia valdostana e, in secondo luogo, che il mangiare e il bere, pur importanti, fanno parte di un "bouquet" d'offerta estremamente complesso. Chiunque abbia letto manuali avanzati sulla materia turistica potrà confermare come sia un oggetto difficile da afferrare e da riportare nelle gabbie dei diversi comparti economici, pesando sulla psicologia del consumatore gli elementi più vari. Mi riferisco ad esempio alla bontà dei trasporti pubblici, alla qualità dei servizi sanitari a disposizione, alla capacità di mantenere intatto il paesaggio e le sue caratteristiche di naturalità e via di questo passo. Ci sono elementi complessi che si incrociano e la stessa mentalità del cliente, così come la definizione di chi questo benedetto cliente potenziale debba essere, è questione sfuggente e bisogna - per partito preso - avere due accortezze. La prima è quella di diffidare degli studi ponderosi che tecnici del tutto estranei alla nostra realtà ci propinano, perché spesso la discussione fra di noi grazie alla conoscenza approfondita dei temi - in una logica di atelier - consente di fare dei focus più efficaci dei "soloni" che ci studiano. Dall'altra resta sempre vero che modellistiche di altri turismi montani e alpini funzionano solo se applicati e tarati rispetto alla nostra realtà. Impossibile calare dall'alto dei sistemi turistici buoni per altre zone e non per la nostra, e questo obbliga a sforzi di inventiva per prendere spunti altrove dove le cose funzionano, ma sapendo a priori che ogni aspetto va poi opportunamente adeguato alle nostre particolarità e originalità. Certo non è facile e la semplificazione dei decisori, che era perseguita dal nuovo Office du Tourisme, non è avvenuta e penso sempre di più che si debba ragionale su di una riforma istituzionale che premi in qualche modo gli eletti con delega nel turismo nei diversi Comuni e riprendendo in mano la logica, ancora contraddittoria per funzionalità e ambiti territoriali, dei Consorzi, snodo del rapporto fra pubblico e privato. In questo frangente, lo Stato vuole riportare la materia del turismo al centro ed è una visione miope nell'Italia dei mille campanili, essendo l'interlocuzione fra le Regioni la vera sfida e non quella di avere strutture centrali inutili con un Ministro senza portafoglio che, alla fine, conti come il "due di picche".