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15 set 2012

Usi e consuetudini negli aeroporti

di Luciano Caveri

Esiste un vivo mistero che non riesco a risolvere, anche se so - per averlo letto - che in futuro ci saranno tecnologie mirabolanti che spazzeranno via ogni vecchiume. Io ho fiducia nella tecnologia, anche se l'assenza delle macchine volanti che i futurologi annunciavano quand'ero bambino mi rendono guardingo. Il salto nel futuro riguarderà una delle più grandi "rotture" esistenti a tutt'oggi: si tratta dei controlli personali e dei propri bagagli a mano negli aeroporti. Ci dicono che un giorno dalla sola iride del nostro occhio e da un'analisi rapida e sofisticata dei bagagli ci sarà consentito di andare in pochi secondi dritti filati al gate di partenza. Già si parlava mesi fa di nuovi metodi radiografici che ci avrebbero messi a nudo, ma ci avrebbero risparmiato tempo. Mai visti: raramente ricordo polemiche così inutili nella pratica. Capisco che scriverne oggi, nel fatidico e evocatore 11 settembre (ero all'epoca parlamentare europeo), potrebbe essere stridente, per cui esprimo un ricordo serio, tragicamente serio dei fatti. Gli aerei contro le "Torri Gemelle" divennero un punto a capo per le misure di sicurezza: si scoprirono i troppo buchi che consentirono al tempo ai terroristi di impadronirsi dei velivoli, pur se marginali rispetto agli errori dei servizi segreti che avevano degli elementi vari che, se opportunamente incrociati, avrebbero potuto evitare quella strage epocale. Ma per certi nefasti fatti storici c'è spesso questo "quid" che poteva consentire strade diverse, ma quando gli incroci sono ormai alle spalle importa solo per evitare che certe vicende non si ripetano e si stia più attenti. Così nel periodo immediatamente successivo si viveva una psicosi collettiva e i controlli erano subiti di buon grado, anche se certe dinamiche mi sono sempre sfuggite. Che so: ho visto in un aeroporto africano agenti di sicurezza che facevano passare qualunque cosa con una piccola mancia; ho notato come, dopo i controlli, nei negozi si potevano in certi scali comprare oggetti ben più pericolosi delle povere forbicine regolarmente sequestrate; i liquidi per la propria igiene personale dovrebbero finire in sacchetti separati ma le regola è ormai caduta in prescrizione. Ma l'oggetto del contendere maggiore è la varietà arcobaleno di regolazione degli apparecchi: in trasferimenti mi è capitato di suonare in un posto e passare in silenzio in un altro varco vestito esattamente nello stesso modo e dopo essermi liberato da tutti gli oggetti da far scorrere nel nastro per gli occhiuti controlli. C'è chi vuole che io tolga sempre le scarpe, che siano scarpe di tela o le metallicissime calzature inglesi da cerimonia, c'è chi ti perquisisce in modo soft e chi ti palpa come se fossi un cugino primo di Bin Laden. Senza badare cioè agli obblighi, ai protocolli, alle procedure mondiali esistono le interpretazioni locali, come se gli usi e consuetudini reagissero alla mondializzazione con la nobile arte del distinguo, della deroga, dello sfregio al pensiero unico. Che poi, purtroppo, su di un treno affollato o sulla metropolitana in una grande città uno può entrare con cose terribili. Se uno ci pensa, è roba da star chiusi nello sgabuzzino di casa.