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13 mar 2012

Quel che unisce e quel che divide

di Luciano Caveri

A poco più di un anno dalle elezioni regionali, è difficile parlare di politica. Ormai siamo entrati nel gioco deformante degli specchi, simile a quelli che si trovano nei luna park, che rende a trasformare tutto. Ogni argomento si presta a essere, di conseguenza, oggetto di visioni che derivano molto spesso dalla necessità di differenziarsi. Non c'è niente di scandaloso, perché è ovvio che, giunti come siamo in fase di riscaldamento prima che la gara parta, valgono più le cose che dividono che quelle che uniscono. Ciò vale nel confronto fra partiti e schieramenti e non si può negare che ciò valga anche all'interno delle stesse forze politiche, dove le linee programmatiche non impediscono di avere visioni anche diverse sui medesimi argomenti.

Chiunque studi la storia della Valle, nella parte più contemporanea di essa, non si stupirà del fenomeno, perché le elezioni hanno sempre un effetto distorsivo, che vale anche in quello che io considero oggi il nocciolo del problema, i rapporti con Roma. So bene, per esperienza, che oggi la bilateralità di rapporti fra Aosta e Roma vede un convitato che non è più neppure di pietra, l’Unione europea. Le decisioni comunitarie agiscono direttamente o indirettamente sulla nostra Autonomia in un mare di materie, ma è anche vero che, al di là di tutto, la nostra Autonomia Speciale resta legata al rapporto che la Valle ha con lo Stato o, definizione che fa rabbrividire certi esponenti di partiti nazionali, con l'Italia. Un modo di dire che ha valore prepolitico e prescinde, per così dire, dalla definizione vera e propria. Ma torniamo al punto: in un quadro politico complesso come quello italiano, in un'incerta fase di cambiamento, come porsi come comunità rispetto ai rischi crescenti di messa in discussione della nostra Autonomia Speciale? Verrebbe da dire: unendo le forze che ci stanno davvero nella preliminare difesa di principi e norme giuridiche. Non fosse che questo "embrassons-nous" risulta in questo contesto come una speranza difficile da realizzare per le ragioni già dette. Aggiungiamone, però, una su cui invito a riflettere. Molto spesso nella mia lunga militanza politica mi sono creato l'idea che l'"Autonomia Speciale" non sia intesa da tutti nello stesso modo, malgrado l'uso corrente di questa medesima espressione. Come reagente per capire che non tutti dicono la stessa cosa usando le stesse parole deriva dall'uso delle idee federaliste, che sono alla fine il grande distinguo fra chi usa "Autonomia Speciale" come una bandiera in cui crede e chi l'adopera ritenendo che nel rapporto con l'elettorato sia una specie di slogan dal quale nessuno può prescindere. I federalisti ritengono l'Autonomia Speciale come un punto di partenza, gli altri come un punto d'arrivo. I federalisti spiegano che la debolezza dell'Autonomia Speciale stia nella sua "concessione", gli altri sono ben contenti che ci sia questo "cordone ombelicale" che limita i movimenti. I federalisti sono consci che l'essere minoranza linguistica resta un valore assoluto, gli altri sono ben contenti che certe caratteristiche rischino di essere colpite a morte dalle trasformazioni in corso. E via di questo passo.