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27 gen 2012

I molti anni sul Peuple

di Luciano Caveri

Sono stato io, diventato deputato venticinque anni fa, a scoprire che il "Peuple Valdôtain" non aveva mai chiesto i contributi statali per l'editoria di partito. Cifre cospicue che da allora vennero incamerate da questo storico settimanale, pubblicato dal dopoguerra e rimasto rara avis per l'uso della lingua francese. Quando entrai in politica, iniziai anche a scrivere per il "Peuple" e credo di aver scritto più di mille articoli per il giornale. L'ho fatto con editoriali, commenti e soprattutto rubriche, come il "Calepin", spostato da qualche anno sul sito, e che è raccolto in due libri usciti anni fa. Sono stato il primo giornalista professionista a "firmare" i praticantati che hanno consentito a diversi giovani, spesso assai brillanti e "decollati" poi per altri lidi, di entrare nella professione dalla porta principale. Il "Peuple", prima che la redazione si trasferisse a Saint-Christophe, lasciando la palazzina "ex Esso" di Avenue des Maquisards, era per me la quotidianità nei molti anni in cui il mio ufficio era lì e dove ogni tanto mi capitava di scorrere vecchi numeri del giornale, assai rappresentativi delle diverse ere della politica valdostana nell'epoca dell'autonomia speciale. Oggi seguo con curiosità il restyling del giornale, in atto da inizio anno. Non è il primo che avviene, ma questa volta - non essendo un rollandiniano ortodosso e praticante - nessuno mi ha chiesto un parere, pur facendo indegnamente parte della corporazione giornalistica da oltre trent'anni. Graziosamente, però, è rimasta la mia lampadina ancora accesa in prima pagina: si chiama "Fin de citation" e commenta ogni settimana una frase famosa. Confesso che spesso una frasetta è meglio di una corposa articolessa. Questa esperienza mi ha persuaso ad entrare nella sintetica espressività di "Twitter".