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19 dic 2011

Pensiero agro

di Luciano Caveri

"Il n'y a que ceux qui sont méprisables qui craignent d'être méprisés".  Così scriveva, con una delle sue frasi fulminanti, François de La Rochefoucauld, osservatore e commentatore delle debolezze umane. Uno spettacolo di cui siamo tutti, à tour de rôle, protagonisti e spettatori, perché "chi è senza peccato scagli la prima pietra". Tuttavia, devo dire che il disprezzo, questa è la traduzione più adatta del termine francese, non fa parte delle mie corde. E' un sentimento comprensibile, ma eccessivamente supponente e coinvolgente, quasi una gabbia in cui si finisce per essere prigionieri e per natura amo la libertà. Trovo, semmai, che sia meglio la rabbia gelida dell'indifferenza, che è come un osso di seppia, essenziale e plastico. Si tratta di una modalità utile anche per risparmiare le energie e per guardare i fatti con il giusto distacco ("recul" in francese, che deriva dal latino e dal ben comprensibile termine "culus"). Intendiamoci: io sono un sanguigno, ma il tempo che passa mi sta rendendo più saggio, specie di fronte al teatro della vita e alle molte varianti possibili che si possono recitare sul suo palcoscenico. Si va dalla commedia leggera alla tragedia, dall'operetta all'avanspettacolo, dal melodramma alle ombre cinesi e così di seguito con tutti gli altri generi possibili. Così le recite che si susseguono mutano a seconda delle circostanze derivanti dalle vicende umane che ci coinvolgono quotidianamente. Così è sempre stato, si dirà. E' vero, ma oggi si aggiunge la crescente impressione che molte regole siano saltate assieme ai tradizionali e rassicuranti punti di riferimento. La crisi economica preoccupa, quella morale indigna.