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13 dic 2011

Scrivere d'Europa

di Luciano Caveri

Parlare d'istituzioni è un problema per chi fa politica. Come ho già avuto modo di scrivere, la democrazia prevedeva meccanismi di conoscenza e d'interesse da parte dei cittadini. Mentre sull'interesse, credo che non ci siano problemi, essendo la politica in modo quasi ossessivo seguita in Italia da tutta l'informazione (ma non sempre quantità e qualità coincidono), sul lato conoscenza tutto scricchiola. La famosa "educazione civica", che era già materia basica e per nulla sviluppata e non dappertutto diffusa, non si è mai affermata davvero nella scuola, se non nei rari casi di insegnanti meritevoli. La formazione interna ai partiti è andata scemando e i partiti sono ormai organizzazioni che lavorano attorno al solo consenso elettorale. L'autoformazione, cioè l'interesse dei singoli, è ridotta al lumicino per via dell'ondata qualunquistica che spazza via allegramente ogni lato "buono" della politica. Per cui scrivere stamattina della crisi dell'Unione europea rischia di essere un esercizio élitario per i frequentatori del sito, che se stanno leggendo questo "post" lo fanno perché - miei amici, nemici o semplicemente indifferenti - alla politica credono e sanno che il destino delle istituzioni si gioca nei passaggi che la storia ci assegna. Stanotte a Bruxelles, al di là della retorica da dichiarazione tv con il sorriso sul volto, si è seppellita l'Europa unita. La "zona euro" con altri "volontari" va per conto suo e la Gran Bretagna, nel porre il veto su alcune modifiche per far funzionare meglio i Trattati in tempo di crisi dell'economia e della politica, ha fatto il suo solito lavoro: l'euroscetticismo piantato nel cuore delle istituzioni europee. Non me ne stupisco affatto, pensando da sempre che vada rimossa la crosta di melassa che copre la realtà di un'integrazione europea che arranca cercando, come una "pietra filosofale", qualche elemento che trasformi l'Unione europea in una vera "casa comune". Per cui la "rottura" di questa notte è la conseguenza del fatto che l'Europa non ce la fa davvero e questo - accanto alla crisi italiana in atto - obbliga i valdostani a riflettere sul loro futuro non solo materiale.