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02 dic 2011

Una vita per i walser

di Luciano Caveri

Trent'anni fa la "Voix de la Vallée", cioè il notiziario radio che aveva iniziato all'inizio degli anni Sessanta le proprie trasmissioni, era più importante dell'appena nato telegiornale della "Rai". Si era già consolidata una rete di collaboratori che dai paesi inviava delle notizie. Conobbi così, via telefono, Eugenio Squindo di Gressoney-Saint-Jean. Per me era all'inizio era solo una voce, dall'evidente inflessione germanica, che poi divenne un volto sempre sorridente e la scoperta di una personalità che era una memoria storica della sua comunità. La sua vita è stata dedicata alla difesa del suo piccolo popolo alpino, sapendo che il lavoro di ricerca e di studio era necessario a fronte di una crisi identitaria e nell'uso delle lingue tradizionali. Mai avrei pensato che grazie a lui, già ammiratore di mio zio Severino Caveri (negli anni caldi della nascita dell'Union Valdôtaine partiva a piedi con gli amici per le grandi manifestazioni di piazza), avrei finito per modificare lo Statuto speciale, riconoscendo i diritti del popolo walser, minoranza nella minoranza. Eugenio immagino fosse scettico quando gli dissi che la strada giusta era proprio lo Statuto e non la legge ordinaria. Invece nel 1993 l'articolo 40 bis dello Statuto divenne realtà e fu una sorta di coronamento della mia amicizia con Eugenio, l'unico che sapeva dirmi qualcosa della mia bisnonna walser nel dedalo delle reti parentali! Restavano i walser piemontesi, che vennero riconosciuti nel 1999 con la legge di tutela delle minoranze linguistiche storiche. Allora ero Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e fra le deleghe c'era la materia delle minoranze linguistiche. Eugenio era felice della protezione giuridica, ma conscio che da sola non basterà per evitare il rischio che la cultura walser rischi pian piano di scomparire. Ogni tanto gli rimproveravo l'esistenza di una sorta di gerontocrazia nelle strutture portanti, come il "Centro di cultura walser", che sembrava non assicurare il ricambio con l'inserimento di giovani che prendessero il testimone del lavoro di difesa identitaria e di ricerca storica e linguistica. Ammetteva l'esistenza di questo rischio, dando ad intendere che non era facile trovare chi si entusiasmasse per questo lavoro. Che la sua lunga vita sia per i giovani gressonari un esempio di dedizione di un walser che amava il suo popolo e l'intera Valle d'Aosta. Oggi continua a sorridere dalla cima del suo Monte Rosa.