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26 ott 2011

Autodeterminazione

di Luciano Caveri

I baschi dell'"Eta - Euskadi ta askatasuna", cioè "Paesi Baschi e libertà" annunciano la fine della lotta armata. Me lo aveva detto, qualche giorno fa, un'europarlamentare basca del Partito nazionalista, che avevo incontrato a Bruxelles per discutere di cosa fare per l'attesa direttiva sulle minoranze linguistiche e l'occasione era utile per capire che cosa stesse capitando da loro. Era già capitato qualche cosa di simile nell'intricata vicenda irlandese, ma la scelta dei baschi ha un valore importante e muta fortemente lo scenario. In fondo raggiungono il modus operandi dei catalani e, nel piccolo, anche dei valdostani. Lavorare pacificamente nel quadro delle istituzioni creando una rete di protezione legata a fattori giuridici. Catalani e baschi, tuttavia, non si accontentano dello status autonomistico, pur sviluppatissimo. Non hanno mai nascosto, nella sostanza dell'azione politica anche più moderata, il desiderio di evolversi in un vero e proprio Stato. Certo la via pacifica è quella dell'autoderminazione, cioè la possibilità che attraverso formule referendarie venga consentito un "distacco" non traumatico dallo Stato di origine. Questo è un principio cardine del diritto internazionale. Naturalmente, pensando alla tesi leghista di un'"indipendenza" della "Padania", deve esistere un soggetto davvero riconoscibile come storicamente fondato (e non è il caso), come mostrato dalla rottura fra cechi e slovacchi, prima uniti nella Cecoslovacchia. In punto di diritto ha ragione il Presidente Giorgio Napolitano a dire che oggi, a Costituzione attuale, l'intangibilità dell'Italia è un principio costituzionalizzato. Ma in una visione davvero federalistica non si può escludere che sia propria una legittima riforma costituzionale a prevedere forme nuove e diverse di aggregazione e disaggregazione. Gli Stati nazionali sono creature giovani nella storia dell'umanità e chissà quali forme politiche ci potranno essere in futuro nel quadro europeista.