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18 ott 2011

Tra violenza e democrazia

di Luciano Caveri

Mai comprensione per i violenti. Questa deve essere una convinzione di partenza contro i giovani, che arrivano da alcuni centri sociali di area anarco-insurrezionalista e da organizzazioni dell'estrema sinistra "antagonista", che ormai periodicamente escono da cortei civili e spaccano tutto in una vera e propria guerriglia con le forze di polizia. Non ci possono essere distinguo o indulgenze a destra come a sinistra. Ricordo, come una memoria lontana ma ben presente nel suo significato politico, il dibattito sui giornali negli anni Settanta.

Quando verso i "compagni che sbagliano" esisteva un'indulgenza che era talvolta una vera e propria cecità fino a negare che ci fossero frange "rivoluzionarie" che furono, invece e purtroppo, il terreno di coltura delle famigerate "Brigate Rosse". Oggi, tra l'altro, molti degli estremisti di allora, che sfiorarono il rischio terrorismo, hanno ruoli importanti nella nostra società e dunque devono essere i primi, avendo giocato con il fuoco, ad essere impegnati contro rischi di minimizzare certe vicende di cronaca nera, che nulla hanno a che fare con la politica. Sono per natura sospettoso, invece, di una certa logica, che sembra farsi strada in queste ore, delle "leggi straordinarie". Già a Roma se i violenti fossero stati fermati in tempo, essendo un'infima minoranza, non avrebbe potuto fare i danni che hanno fatto e esibirsi in favor di telecamera con il massimo raggiunto dal fesso che lanciava in estintore a volto coperto e poi ha avvicinato, sorridendo, i giornalisti convinto di farla franca. Tutto c'è bisogno in questa fase storica, ma non di certo della violenza. Che gli animi siano esacerbati dalla crisi economica e dalle sue conseguenze sociali è sotto gli occhi di tutti. Ed è qualche cosa che va al di là del reale: penso alla sfiducia crescente e virulenta contro "tutta" la politica senza troppi distinguo. Segno evidente di un fallimento della politica in cui diventa difficile fare l'elenco di buoni e cattivi, in cui è meglio la strada perigliosa della generalizzazione. Questa considerazione è, non lo dico per difendere una "casta" – come la si chiama – indifendibile, perché certe vicende sono foriere di brutte storie. Riformare è necessario, cambiare utile, riflettere importante, ma alternative alla democrazia rappresentativa personalmente non ne conosco.