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29 ott 2010

Cravatta, viva o morta?

di Luciano Caveri

Per fortuna, nelle cene fra amici non si parla solo di politica. Quando capita per ovvie considerazioni, sono tentato di chiedere un "time out": un po' perché mi faccio prendere e rischio di diventare noioso e un po' perché l'argomento è appassionante, ma è salutare "staccare la spina". Così l'altra sera si parlava della cravatta, curioso e storico orpello se ci si fa mente locale, astraendosi dalla ordinarietà della tradizione, che si pone come un caposaldo di una "mise" ordinata e da eleganza maschile secondo il galateo. Alla mia epoca, alla Camera dei deputati giacca e cravatta erano, come in passato in Consiglio Valle, un obbligo protocollare, mentre al Parlamento europeo "liberi tutti" con look dei "nordici" che definire "casual" risulta un eufemismo e lo stesso vale al "Comitato delle Regioni". L'assenza del vestito d'ordinanza e della cravatta, in tutte le assemblee politiche, gioca per le signore situazioni varie e spesso libertà di look che non tutte sanno interpretare con gusto. Ma dicevamo della cravatta: io penso che, come già avviene in molti Paesi del mondo, pian pianino la cravatta - tranne che per grandi cerimonie - uscirà dall'uso quotidiano per una sorta di anacronismo insito in questo pezzo di tessuto annodato. Da alcuni amici sono stato contestato: loro ritengono che la cravatta goda di ottima salute e grande reputazione e che io - capita! - non capisco nulla. Regalerò loro una cravatta per Natale...