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18 ott 2010

Elucubrazioni

di Luciano Caveri

Eccettuato il percorso politico di Silvio Berlusconi, che personalmente ritengo essere ormai avviato in una fase discendente, la grande novità emersa sulla scena della politica italiana, con lentezza ma con forte progressione negli ultimi vent’anni, è indubbiamente la Lega. La premessa è ovvia: se Umberto Bossi non avesse mai incrociato sul suo cammino Bruno Salvadori e l'Union Valdôtaine, allora la Lega non sarebbe mai nata. Circostanza incontestabile, così come è incontestabile il fatto che la Lega – sviluppatasi a cavallo fra le cosiddette Prima e Seconda Repubblica – abbia approfittato di uno spazio politico forte su temi identitari e localistici e anche del progressivo peggioramento delle leggi elettorali per le elezioni politiche, conquistando così – per un comitato disposto delle dei due fenomeni - ampie fette di consenso al Nord e, con le ultime regionali, si è espansa verso il Centro.

Da due parlamentari nel 1987, la Lega si è allargata a dismisura in Parlamento, nelle Regioni, nelle istituzioni, nelle società partecipate: un esercito di eletti e di amministratori che ha ulteriormente dato una spinta al processo di espansione. Nel frattempo, accanto a questa classe politica e dirigenziale di base, il partito si è organizzato, copiando all'inizio la struttura da partito marxista-leninista dell'UV, con la scelta anche di avere un unico e solo leader carismatico, Umberto Bossi. Un leader oggi anziano e malato che tiene tuttavia la scena, forse studiando una successione familiare con il figlio Renzo, ma certo i generali e i colonnelli della Lega si contendono con evidenza il "dopo Bossi" e sarà difficile capire se e come la Lega potrà reggere alle inevitabili divisioni del venire meno, senza fare il menagramo, del Senatur. Intanto il ruolo leghista, anche nel Governo Berlusconi, è cresciuto di peso dopo l'uscita forzata di Gianfranco Fini dal PdL: Bossi manovra astutamente questo ruolo e spinge sull'acceleratore delle sue richieste. Su questo punto – spiace dirlo – la Lega ha ottenuto meno di quanto avrebbe potuto pretendere, forse per un meccanismo di "assorbimento" della spinta propulsiva e protestataria per l'agiatezza delle poltrone di Roma e altrove. Nel senso che se il bottino portato a casa sarà il solo federalismo fiscale "all'italiana" l'esito è davvero modesto, mancando quella "rivoluzione federalista" che Bossi ben conosce e che è risultata annacquata per varie ragioni e anche perché – oggettivamente – la destra italiana con cui è alleato vede da sempre il federalismo come fumo negli occhi e non bisogna farsi ingannare dai melliflui discorsi pubblici. Non che a sinistra il federalismo piaccia di più, ma Bossi – ago della bilancia – potrebbe oggi essere movimentista e vedere se, come un giocatore di poker, le carte dell'attuale opposizione gli potrebbero consentire di dar vita ad un "federalismo vero" per la parte dell'Italia che è pronta al cambiamento. Ma le mie sono solo elucubrazioni.