Mi mette un certo disagio nella modulistica dover mettere - sembra una sorta di ammissione di colpa - la parola “pensionato”.
Per fortuna posso scrivere altrove “politico e giornalista”, che sembrano non avere una scadenza, se non quella naturale legata all’esistenza umana che, come noto, non è infinita.
Per altro, lo status di pensionato pare grandemente agognato da molti delle generazioni simili alla mia, per cui un lato buono ci deve pur essere così gettonato!
Ovviamente la parola pensione deriva dal latino pensio (pensio -onis), che all’origine voleva dire "pagamento", in particolare un pagamento da effettuare in un giorno stabilito.
Come sempre in questi casi, spunta una curiosità, perché deriva dal verbo latino pendĕre, che significa "pesare" e, per estensione, "pagare" (in quanto nell'antichità le somme venivano pesate).
Il significato che conosciamo oggi, legato alla rendita previdenziale (l'emolumento corrisposto a chi ha cessato l'attività lavorativa), si è sviluppato a partire dal significato di "stipendio" o "salario" che faceva carico alla cassa dello Stato (o di un privato) per servizi prestati.
Il termine "pensionato" - scusate la banalità - è una derivazione diretta della parola pensione e designa la persona che gode di una pensione, ovvero colui che, avendo accumulato l'anzianità lavorativa o raggiunto la vecchiaia, ha acquisito il diritto di ricevere tale compenso mensile. In sintesi, l'idea di "pensione" è radicata in un concetto antico di "pagamento" o "rata" stabilita.
Per puro divertissement - perché anche di questo si vive - ho pensato se esistesse una parola che designasse con una gamma di utilizzo questa situazione.
Mi era balzata alla mente la parola “pensionàtico”, che da dizionario ho trovato già occupato con questa definizione “nelle province dell'antica Repubblica di Venezia, diritto di pascolo su terreni altrui, in cambio di un corrispettivo annuale”.
Allora mi sono spostato su di un neologismo che qui nasce e qui muore: pensionitudine. Che dovrebbe ricordare la pienezza, colma di possibilità variante, dell’esistente parola “plenitudine”.
Conosco, infatti, interpretazioni le più varie del pensionamento.
C’è chi taglia i ponti con il passato lavorativo e si apre a nuovi orizzonti. Chi, invece, si intristisce nel ricordo di un passato bruscamente spezzato. Non manca chi non molla - specie se libero professionista - e lo devono infine spostare quelli dei traslochi con la scrivania. Purtroppo c’è chi, per chissà quale maledizione, ci lascia le piume appena spunta il cedolino INPS.
Io mi rifaccio alla definizione sostitutiva annunciata in premessa. Credo di aver scelto il mestiere di giornalista per una vocazione al racconto e dunque lo faccio qui ed altrove, avendo anche qualche nuova pista in mente. Penso di non finire mai con la passione politica, che era una fiammella sotto la cenere quando il Caso mi portò, tanti anni fa, a fare il Deputato e molto altro dove. Non esiste in questo pensionamento, se si crede che la Politica con la p maiuscola debba permeare la nostra vita di cittadini con gradi di impegno a seconda del proprio modo di essere.
La “pensionitudine” per esempio paterno (come già pare fosse il nonno e vedo anche in mio fratello, che ha qualche anno in più) mi appartiene ma non mi tange nel senso di accomodarmi nel senso peggiore del termine e cioè nel considerare che l’ultimo tratto della vita debba essere una sorta di vuoto a perdere, salute fisica e mentale permettendo.
Sperando in questa fortuna, sentirsi vivi o meglio vitali serve a dare un senso alla propria esistenza e forse, alla fine, vale per ogni età!