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11 dic 2025

La sfida della conversazione

di Luciano Caveri

Chi mi conosce sa che ho una sottile pellicola di timidezza, ma questa caratteristica è sempre stata compensata dal gusto della conversazione.

La progressiva riduzione degli spazi di faccia a faccia di persona per l’irrompere del mondo digitale mi ha privato di questo gusto del dialogo a voce con una o più persona.

Facile ricordare come il linguaggio articolato – con sintassi, grammatica e capacità di esprimere concetti astratti – è una facoltà unica della specie Homo sapiens, senza nulla togliere agli animali che hanno altri sistemi di comunicazione.

Questo per la semplice ragione che nessun altro animale possiede un sistema comunicativo altrettanto complesso e flessibile. La conversazione, intesa come scambio dialogico finalizzato alla comprensione reciproca, alla negoziazione di significati e alla costruzione di relazioni, è un pilastro della socialità umana.

Vista la vita attuale, chiarisco subito come l’intelligenza artificiale possa ormai generare e comprendere il linguaggio naturale in modo sofisticato, ma - attenzione. - non conversa per esperienza soggettiva, bensì per elaborazione di pattern statistici. Questo significa, facendola semplice, che non è una persona che pensa, ma un programma specializzato che ha imparato a mappare gli input (i dati che gli dai) agli output desiderati (la risposta o la previsione che deve dare).

Philippe Bernard, editorialista di Le Monde, ha scritto un editoriale sul tema. Ne traggo - traducendolo in italiano - alcune idee chiave, utile per rifletterci: ”C’è stato un tempo - scrive Bernard - in cui solo le persone stravaganti parlavano da sole per strada senza curarsi degli altri, in cui si potevano passare ore a conversare al telefono, in cui il modo migliore per trovare la strada era chiederla a un passante. Quell’epoca è finita, e sarebbe stupido o inutile rimpiangerla. Perché era anche un tempo in cui le conversazioni interurbane costavano una fortuna, in cui bisognava frugare tra i documenti per verificare una data, in cui la cerchia di relazioni era geograficamente limitata. Preistoria per i “nativi digitali”, vecchiume per gli altri”.

E prosegue: ”Rifiutare la nostalgia non significa, tuttavia, chiudere gli occhi sui danni sociali causati da certi usi degli smartphone e dalla loro onnipresenza nelle nostre vite connesse, soprattutto nel momento in cui l’intelligenza artificiale sta stravolgendo i nostri usi di Internet. La vertiginosa moltiplicazione delle interazioni offerte dal piccolo schermo che tutti abbiamo in tasca, il comfort degli auricolari che ci estraggono dalla compagnia dei nostri simili, hanno senza dubbio mascherato il danno più profondo e dannoso: le minacce che incombono sulla conversazione, questa pratica «fondata sulla continuità della considerazione dell'altro, attraverso un'attenzione reciproca al suo viso (… )», come la definisce il sociologo David Le Breton in La Fin de la conversation ? La parole dans une société spectrale (Métailié, 2024)”.

Insomma: è messa in discussione una delle caratteristiche del nostro essere ”animale sociale”, trasformato nella modernità - scusate la battutaccia - in ”animale social”.

Prosegue Bernard: ”La comunicazione, utilitaristica, disincarnata, persino sfalsata grazie ai servizi di messaggistica senza scambio diretto, ha così sostituito la conversazione, un vero dialogo che obbliga a tenere conto del proprio interlocutore. Il parossismo in materia è che «i social network incarnano un mondo dell'altro senza altri». Mentre non siamo mai stati così connessi, mai il senso di solitudine è stato così diffuso. Mai si è comunicato tanto senza parlare agli altri; questo paradosso ha conseguenze sociali e politiche così rilevanti da essere diventato una posta in gioco universale”.

Scattano così nel mondo i divieti per i giovanissimi e nelle scuole per proteggere da eccessi che pesano su di loro. La via del proibizionismo è lastricata di rischi. D’altra parte, che fare contro la disumanizzazione digitale?

Chiude Bernard: ”Trent'anni dopo che i Nokia e i Motorola hanno fatto irruzione nelle nostre vite, sarebbe ora di uscire dall'età della pietra e dalla fascinazione. Dall'Australia all'Unione Europea e dalla California al Regno Unito, stanno nascendo timide e incerte legislazioni protettive. Ma il risveglio delle società civili su questo tema è in atto, come negli Stati Uniti, dove una vasta procedura contro Facebook e Instagram, avviata da istituzioni scolastiche e famiglie di adolescenti vittime dell'influenza dei network, mette in luce il cinismo delle piattaforme, consapevoli del potenziale distruttivo dei loro prodotti. (…) La «resistenza» passa innanzitutto attraverso l'investimento nella scuola (senza smartphone), dove, secondo l'espressione del pedagogo Philippe Meirieu, «la riuscita di ciascuno dipende dall'interlocuzione di tutti», e attraverso la rinascita di tutte le forme di socialità, indebolite in particolare dal costoso ritiro dello Stato dai quartieri popolari. Luoghi di socialità piuttosto che social network, conversazioni piuttosto che connessioni, in qualche modo”.

Una sfida da capire e prendere sul serio!