Per alimentare i mei pensieri quotidiani capita di mettere da parte articoli di giornale o spunti sul Web.
Ora che ho tempo, finalmente torno a leggere di più e non solo i giornali, da cui mi abbevero da sempre, ma anche i libri, troppo trascurati quando la politica attiva - specie nella sua componente amministrativa - ti travolgeva.
Quando sei nella macchina del ruolo elettivo, se scrivi hai sempre il rischio del controcanto dei soliti polemisti “Cicero pro domo sua”, specie se affronti argomenti che concernono la vasta materia del politicamente corretto.
Questo vale ad esempio per le manifestazioni ProPal, che semplificano - o dobbiamo parlare ormai al passato? - con cortei e slogan la delicatissima e complessa materia di quanto avviene nei territori di Israele, Gaza e Cisgiordania, che sono storicamente difficili da ricostruire in termini di status politico e giuridico. Chi semplifica, sbaglia.
E ciò vale più in generale per il rapporto che dobbiamo avere non solo con l’islamismo radicale, rispetto al quale vale la tolleranza zero senza sconto alcuno, ma anche con l’Islam in generale nella sua vasta espansione anche in Europa. Non drammatizzo il fenomeno naturale dell’immigrazione, ma sbaglia chi fa semblant de rien.
Sul Corriere della Sera, giorni fa, ho letto un’intervista di Lorenzo Cremonesi, cronista e analista attento, rigoroso e bilanciato, che cerca di andare oltre la retorica bellicista per comprendere e spiegare la drammatica complessità di un conflitto che per molti era stato "rimosso" e dimenticato. E lo ha sempre fatto senza sconti ad Israele e senza ambiguità su Hamas.
Trovo utile citare la sua intervista al Professo Gilles Kepel, in cui il giornalista ricorda del suo interlocutore “il suo lungo percorso intellettuale da giovane trozkista innamorato dei movimenti arabi in lotta contro le dittature del Medio Oriente a studioso del jihadismo, che è stato anche sotto scorta della polizia francese per le minacce di morte subite dai gruppi filo-Isis”.
L’esordio è secco: “Oggi in Francia, ma anche in Italia e in parte dell’Europa, ci troviamo a dovere fronteggiare i pericoli della nuova alleanza tra sinistre estremiste e islamici radicali figli dell’immigrazione araba. Ho scritto un nuovo libro per mettere in allarme sul fenomeno in occasione del decimo anniversario dell’attentato contro il Bataclan, che il 13 novembre 2015 causò la morte di 137 persone, inclusi i 7 terroristi, e il ferimento di altre 416”.
Il libro si intitola Antiterrorisme ed è stato scritto Jean-François Ricard, l’ex procuratore francese che per decenni ha dato la caccia ai terroristi islamici. Una caccia che deriva dal grande numero di attacchi terroristici jihadisti (completati, falliti e sventati) negli Stati membri dell'Unione Europea (UE) negli ultimi anni, basato sui fatti reali e non su fantasie.
Drammi e rischi che sembrano mai essere nella memoria di chi pare giustificare, se non addirittura inneggiare, al terrore islamista.
Cremonesi sollecita il professore sull’”islamogoscista”, in francese "Islamo-gauchisme", un termine politico controverso, usato principalmente in Francia, per descrivere una presunta collusione tra alcune ideologie di sinistra radicale e l'islam politico. Questa la risposta di Kepel: “Vista dall’esterno sembrerebbe contronatura, perché la maggioranza dei militanti della sinistra europea è tradizionalmente atea. Ma pensano che gli immigrati musulmani rappresentino il nuovo proletariato e per loro la vecchia parola d’ordine “proletari di tutto il mondo unitevi” è sostituita da “Allahu Akhbar”. Ma tutto sommato la nuova formula funziona. Il vecchio scontro di classe viene rimpiazzato da quello etnico-religioso. Emergono così importanti differenze col passato. L’antica lotta di classe può essere superata, se ne esce con la scolarizzazione, con il miglioramento delle condizioni economiche e il proletario può diventare benestante. Ma lo scontro etnico-religioso non ha vie d’uscita, è irrisolvibile, causa fratture insanabili, destinate a peggiorare”.
E sottolinea ancora: “La bandiera palestinese sventolata nelle piazze è assurta a simbolo della lotta contro tutte le ingiustizie. Lo vedete benissimo anche in Italia: le manifestazioni per Gaza diventano un pretesto per qualsiasi tipo di rivendicazione politica o sociale”.
Veronesi lo incalza con un raffronto con le manifestazioni per il Vietnam di oltre mezzo secolo fa: “Simile, ma ancora di più. La differenza è che nelle piazze del ’68 non c’erano vietnamiti. Oggi invece abbiamo tanti arabi tra noi, anche palestinesi. Oltre il 10 per cento della società francese è d’origine araba e sta crescendo, visto che fanno tanti figli”.
Ricordo per completezza che la percentuale di popolazione di fede musulmana in Italia è stimata intorno al 4,9% al 1° gennaio 2025. Questo corrisponde a circa 2,7 milioni di persone.
Infine Kepel: “I giovani d’origine araba hanno studiato nelle nostre scuole e fruito dei nostri sistemi sociali, ma hanno scelto la dimensione identitaria. I loro padri erano molto più integrati. Oggi i figli non credono più nello scontro tra Occidente e Russia, ma in quello tra Nord e Sud, tra ex Paesi coloniali e meridione del mondo sfruttato e vittima della tratta degli schiavi. Il Sud globale diventa portavoce delle ingiustizie, con buona pace dei dittatori africani e mediorientali, che non sono più contestati come prima e ben contenti di alimentare invece le critiche contro Ue e Usa. Per l’Europa, costretta tra l’incudine del trumpismo e il martello dell’espansionismo neo-imperiale russo, la situazione si fa ancora più fragile, dove la rivolta per Gaza diventa a questo punto un grave atto d’accusa contro tutto il sistema europeo responsabile di ogni male”.
Una logica antioccidentale che ferisce, perché - al di là di ogni lettura possibile e dell’evidente legittimità di qualunque protesta, se non violenta - gran parte del mondo arabo-musulmano è governato da monarchie assolute o repubbliche autoritarie, dove non ci sono elezioni libere, la sharia o il controllo religioso legittima il potere politico, l’opposizione e la stampa sono limitate, se non prive di spazi reali.
Per cui, qualunque sia la posizione che si può assumere, non si può transigere sul sistema di diritti e doveri che sono in Europa alla base dei vigenti principi e valori costituzionali. Chi se ne discosta e li vuole minare non può essere sostenuto in nessun modo.
Che lo capiscano anche coloro che improvvidamente manifestano, quando lo fanno senza gli opportuni distinguo e senza rendersi conto di essere, proprio nelle loro omissioni, ambigui o sprovveduti.