Mi capita spesso di leggere in sintetici post su X quanto scrive il Cardinale Gianfranco Ravasi.
Uno di questi mi ha fulminato in queste ore, aprendomi a certi pensieri. Scrive Ravasi: ” «Perché i poeti?» Così inizia una poesia del tedesco Friedrich Hölderlin (1770-1843). Sembrano non produttivi, eppure sono necessari perché si indicano il senso della vita e delle cose, impedendo a chi è immerso nell'agire di smarrire la bussola nel cammino dell'esistenza”.
Sulla funzione della poesia e in verità di questa stessa poesia citata esiste un ampio approfondimento scritto a suo tempo dal filosofo Martin Heidegger (1889-1976), personalità da prendere con le pinze per la sua compromissione con il nazismo, che molto ha fatto discutere.
La sua tesi - comunque interessante sul tema - è così riassumibile con una estrema semplificazione di ragionamenti ben più complessi: in un tempo di estrema mancanza, la poesia non è un lusso, ma una necessità. L’esaltazione del ruolo della poesia deriverebbe dalla capacità di vedere le cose, volando alto, attraverso il linguaggio poetico.
Scriveva a questo proposito: ”La poesia, in quanto linguaggio essenziale, non descrive il mondo, ma lo fa apparire. Essa è pensiero poetante”.
Fa impressione pensare come, senza troppi giri di parole e teorizzazioni complesse, ci sia un altro poeta, Umberto Saba (1883-1957) , a esprimere bene la forza e l’importanza della poesia.
Ricordo incidentalmente - a dimostrazione dell’idem sentire che sulla poesia possono avere persone con storie diverse se non contrapposte - come Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli, fosse ebreo e, a causa delle persecuzioni razziali durante la Seconda Guerra Mondiale, fosse stato costretto a nascondersi. Ecco la sua poesia:
Perché i poeti
nei tempi di miseria
vanno a cercare
l’oro nelle miniere
del cuore umano,
e ne traggono
parole che brillano
come stelle
sopra la notte del mondo.
C’è un’altra bella poesia di Alda Merini (1931-2009), definita “la poetessa della follia e dell’amore” per la sua vita fatta anche di marginalità e che così si autodefiniva: «Sono nata il ventuno a primavera / ma non sapevo che nascere folle, / aprire le zolle / potesse scatenar tempesta. Ecco il testo citato:
I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle
Interessante, in questa nostra epoca sopra le righe, in cui l’irruzione del Web e dell’Intelligenza Artificiale ha turbato antichi equilibri, un passaggio quasi profetico del tempo attuale di Eugenio Montale (1896-1981), quando ritirò nel 1975 il Premio Nobel della Letteratura sul tema ”È ancora possibile la poesia?: ”In tale paesaggio di esibizionismo isterico quale può essere il posto della più discreta delle arti, la poesia? La poesia così detta lirica è opera, frutto di solitudine e di accumulazione. Lo è ancora oggi ma in casi piuttosto limitati. Abbiamo però casi più numerosi in cui il sedicente poeta si mette al passo coi nuovi tempi. La poesia si fa allora acustica e visiva. C'è anche una poesia scritta per essere urlata in una piazza davanti a una folla entusiasta. Ciò avviene soprattutto nei paesi dove vigono regimi autoritari”.
Frasi su cui meditare in questa temperie di crisi della democrazia e di crescita delle autocrazie.