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11 ott 2025

Bollicine

di Luciano Caveri

Mi rimetto alla clemenza della Corte, ma sia chiaro che ritengo di avere qualche giustificazione!

In queste ore sono in Francia nella zona dello Champagne. Mi vien da ridere a pensare che anche nella toponomastica valdostana ci siano zone chiamate Champagne, ma non assimilabili al celebre vino.

D’altra parte la parola “champagne” è di una semplicità eclatante. Viene dal vecchio francese “campayne”, parola che risale al XI secolo e significa…campagna e cioè grande distesa di terreno piatto.

Siamo nel Nord-Est della Francia e storicamente da lì proveniva un vinello chiaro non effervescente, che si esportava.

E poi? Poi spunta Pierre Perignon, che sarà poi Dom Perignon (Dom e non Don, perché veniva direttamente dal latino Dominus), abate francese nato nel 1639. Cresciuto a Sainte-Menehould, nella regione della Champagne-Ardenne, crebbe a stretto contatto con il vino, lavorando nei vigneti del padre e degli zii. Dopo essere divenuto prete, a trent'anni fu designato tesoriere e responsabile dei vigneti del monastero benedettino di Saint-Pierre d'Hautevillers: un ruolo importante, visto che lì, come avveniva per molte altre comunità religiose, la vendita del vino serviva per il sostentamento.

La leggenda - perché non esistono sempre prove documentali - vuole che Dom Perignon "inventò" lo champagne o meglio innovò quanto già esistente. Ci sono due versioni: la prima sostiene che, come spesso accade per le invenzioni geniali, la nascita dello champagne avvenne come frutto del caso. Dopo aver imbottigliato delle bottiglie di vino bianco, Dom Perignon si accorse che alcune di queste erano scoppiate: il primo champagne veniva non a caso chiamato «vino del diavolo», perché capitavano scoppi all'improvviso delle bottiglie con schegge di vetro conseguenti (oggi con qualche magnum – miglio modo per gustare questo vino - può ancora capitare!). L'abate intuì che c'era un modo per rendere il vino frizzante e scoprì la presa di spuma, cioè il processo attraverso cui si sviluppa l'anidride carbonica, dopo la rifermentazione in bottiglia. La seconda versione vuole che Dom Perignon, grande sperimentatore, aggiunse di proposito zucchero e fiori al vino bianco in bottiglia e constatò come, dopo la rifermentazione, potessero svilupparsi le bollicine. Chissà...

Quel che è certo è che Dom Perignon, grazie alla sua profonda conoscenza delle uve del territorio, ebbe il merito di selezionare i vitigni più adatti per realizzare lo champagne: "Pinot Noir", "Chardonnay" e "Pinot Meunier". Inoltre introdusse gli attuali tappi di sughero con gabbietta e lavorò per affinare il metodo di produzione, In seguito Dom Perignon si dedicò anche ad una accurata selezione delle uve più adatte a produrre il suo vino, selezione che viene rispettata ancora oggi. Per questo – come sto facendo mentre voi leggete - almeno una coupe de champagne (ma i bicchieri nel tempo si sono molti evoluti) va bevuta in suo onore!

Il clou – lo ammetto – avvenne, però, una ventina di anni fa, quando fui promotore di un gemellaggio fra Fontina e champagne. L’avvenimento memorabile fu ad Epernay (Francia), nelle sale napoleoniche nella splendida orangerie "Moët & Chandon", dove vennero presentati gli accostamenti scelti a favore quindici tra i più blasonati chef italiani ed alcuni dei migliori giornalisti eno-gastronomici italiani e francesi. Brividi di piacere in un matrimonio originale.

Per il resto, mi rifaccio a Napoleone Bonaparte, che diceva: “Je bois du champagne quand je gagne, pour fêter... et je bois duchampagne quand je perds, pour me consoler”. In effetti, se si è un po’ tristi ci pensa una frase di George Sand: “Le champagne aide à l'émerveillement”.

Prossima tappa lo Chablis. Siamo ad un vino bianco “fermo”, secco e minerale, prodotto in Borgogna, esclusivamente con uve Chardonnay. Le sue caratteristiche uniche, come l'elevata acidità e i sentori di pietra focaia e agrumi, derivano - dicono gli esperti - dal clima fresco e dal terreno ricco di fossili marini (terreno Kimmeridgiano) della zona.

Di conseguenza vi dedico un brindisi, che in francese si dice “toasts”. Parola curiosa, che così spiega l’Academie Francaise in un andirivieni francese inglese e viceversa: “Mot anglais, signifiant proprement « pain grillé », tiré de l’ancien françaistoster, « griller », lui-même issu du latin tostus, participe passé de torrere, « sécher, dessécher ; griller, rôtir », parce que l’on comparait les jeunes femmes en l’honneur de qui on portait destoasts au pain grillé épicé qui donnait de la saveur à la boisson”.

A’ la vôtre!