Come si fa in questi giorni a non scrivere di Jannik Sinner? Il tennista sudtirolese trionfa a Wimbledon e gli stessi che lo criticavano per la sconfitta di Parigi ora l’esaltano.
Strano vizio italiano quello di passare con rapidità nel giudizio dalle stelle alle stalle. Quando un atleta o una squadra vincono scatta chissà quale orgoglio per poi spegnersi e trasformarsi in critica feroce.
Sarà il mio un giudizio sommario e ingeneroso, ma credo applicabile come non mai a Sinner.
Il suo essere sudtirolese sembra accendere troppo spesso incomprensioni. Una sorta di antipatia o meglio di pregiudizio per un esponente di spicco della minoranza linguistica più numerosa in Italia.
Così Yannik, originario dell’Alta Val Pusteria (Pustertal), nato a Innichen (San Candido) e cresciuto a Sesto (Sexten) diventa, per via della sua cultura e della sua lingua, un oggetto piuttosto misterioso e questo avviene purtroppo per un’evidente ignoranza assai diffusa.
Non c’è infatti alcun dubbio sul fatto che il Südtirol sia stato un bottino di guerra dell’Italia come conseguenza della Prima Guerra Mondiale e dunque un lembo dell’Austria strappato in seguito ai Trattati che portarono l’Italia ad entrare in guerra.
Così come è indubitabile di come il regime fascista abbia praticato un tentativo si assimilazione forzata e solo dopo la Seconda guerra mondiale, con molte vicissitudini e anche grazie alla garanzia internazionale dell’Austria, si è giunti all’attuale regime di autonomia della Provincia autonoma di Bolzano/Bozen. I sudtirolesi sono stati bravi a tutelare i loro diritti e a usare in modo abile le prerogative statutarie con un corposo e dinamico insieme di norme di attuazione.
Sinner è dunque figlio di questo sistema culturale, saldamente radicato in norme giuridiche e in un sistema di tutela, che è esempio in tutto il mondo.
Tuttavia, in Italia, resta una sorta di incomprensione, con punte di stupidità, che si riversa in un grumo di gelosie e invidie verso il giovane e sorridente tennista.
Caso di scuola è la sua scelta di essere residente nel Principato di Monaco e dunque di godere, come tantissimi altri sportivi e non solo, della particolare attrattiva fiscale della località rivierasca.
Ma esiste, come dicevo in premessa, qualche cosa di più sottile, che aleggia in Italia contro i vincenti. Un venticello fastidioso e puzzolente che tende a sporcare chi ottiene successi.
Lo abbiamo visto con l’accusa di doping, che ha rischiato di stroncare la carriera di Sinner.
Quante cattiverie sono state diffuse in certe di fogne di Calcutta dei Social e mai si crede da parte di alcuni all’onestà e alla buona fede. I complottisti che sono come funghi velenosi che imbrattano tutto cercano sempre di usare i “se” e i “ma” in modo malizioso o violento, cambiando con rapidità l’oggetto di accuse, retroscena e autentiche follie con lo scopo evidente di fare del male. Gli odiatori sono una categoria che va stroncata nelle piccole e nelle grandi cose.
Dei commenti su Sinner, mi è piaciuto quanto ha scritto sul Foglio Alessandro Catapano: “Tra la vittoria di Alcaraz al Roland Garros e quella di Sinner a Wimbledon, per il sapore in bocca che lascia, c'è la stessa differenza che passa tra vincere un derby calcistico con un autogol, magari nei minuti finali, e dominarlo dall'inizio con tre o quattro gol di scarto.
Altra domanda: cosa fa godere di più? Di una cosa siamo certi, che la domanda sussurrata che ieri uno stralunato Sinner, forse ancora incredulo di aver giocato al gatto col topo con Alcaraz, ha rivolto alla gentile signorina, rigorosamente in bianco, che gli illustrava le regole e i rituali del ceri-moniale, "ma come mi devo rivolgere alla principessa Kate?", non si ripeterà. Per questo fenomeno del tennis e del lavoro duro, statene certi, diventerà un'abitudine vincere a Wimbledon.
Nulla potrà cambiare il corso della storia, che prevede un decennio di sfide tra questi due giganti, marziani, eroi della racchetta. E, probabilmente, ne vincerà più Sinner.
Che, forse, dei due è il meno dotato tennisticamente (ora suona come una bestemmia, ma seguiteci un istante), ma per abnegazione, dedizione al lavoro e capacità di fare il punto quando è il momento di farlo, complessivamente risulta il più completo. Certamente, è il più solido, anche psicologicamente. Ieri, poteva perdere lucidità dopo il primo set, e invece è rientrato in campo con la voglia, evidente, di mangiarselo (e di sbranare l'avversario, come poi effettivamente ha fatto). L'altro, invece, una volta raggiunto e superato nel conto dei set da Jannik, è andato in confusione e il segnale evidente, e per noi rassicurante, è stato quando rivolgendosi al suo angolo, piuttosto spazientito, ha detto: "Da fondo campo lui è molto più forte di me". No, Carlos. Anche al servizio, anche a rete, dappertutto Carlos. Succede. E 'già successo. Succederà ancora”.
Infine un interrogativo: “In quale angolo del cuore mettere questa impresa? La mettiamo con gli ori olimpici di Tomba, con i 100 metri di Jacobs, con il Mondiale del 1982, con il Tour de France di Marco Pantani? Qui, la libertà è davvero totale. Ognuno scelga il posto del cuore dove inserire questa favola”.
A me viene in mente un altro “marziano” sudtirolese, il grande sciatore Gustav Thöni, che fu il primo – con grande classe – a marcare il terreno a favore dei miei amici sudtirolesi, del loro carattere e della loro forza d’animo.