Jürgen Habermas, filosofo e politologo tedesco che ho sempre apprezzato, ha scritto un lungo articolo sulle follie americane in corso sul Süddeutsche Zeitung e lo trovate tradotto su Internazionale.
Le prime righe sono un riassunto perfetto della sfida: “Chiaramente i leader occidentali – e più in generale dei paesi del G7 – non sono mai stati totalmente d’accordo sulle prospettive politiche, ma hanno sempre condiviso un’intesa di fondo sulla loro adesione a un occidente guidato dagli Stati Uniti. Questa costellazione politica si è disintegrata con il ritorno al potere di Donald Trump e il cambiamento che si è messo in moto negli Stati Uniti (anche se, formalmente, il destino della Nato per il momento resta una questione aperta). Da un punto di vista europeo, questa frattura epocale ha grandi conseguenze, sia per l’evoluzione e la possibile conclusione della guerra in Ucraina sia per la necessità, la volontà e la capacità dell’Unione di trovare un riscatto nella risposta alla nuova situazione. Altrimenti anche l’Europa sarà trascinata nel vortice della superpotenza statunitense in declino”.
Più avanti motiva le ragioni del riarmo europeo assieme al rafforzamento del processo di integrazione politica. Quanto i manifestanti di ieri a Roma, fermi allo sterile e di fatto filorusso “mettete i fiori nei vostri cannoni”, non hanno capito. In più sono tanti fra loro - che di fatto tifano per il nemico russo e non per per l’Europa - che purtroppo lo hanno capito benissimo.
Rispetto agli Stati Uniti, ogni tanto esce un’angolatura diversa e l’altra sera, in una serata dell’Union Valdôtaine sulla transizione energetica, ne ho scoperta una originale, spiegata bene dal ricercatore Jean-Marc Christille.
In sostanza diceva come sarebbe questo il momento per far arrivare in Europa tutti gli scienziati e ricercatori in fuga dagli States per i tagli operati da Trump sia per la sua incompetenza e anche per i deliri complottisti e antiscientifici.
Trovo un approfondimento in un editoriale sempre su Internazionale di Giovanni De Mauro, che così esordisce: “È difficile non parlare ogni settimana di quello che succede negli Stati Uniti. Fino a tre mesi fa per molti era ancora il paese delle opportunità, una terra promessa. Ma oggi il sogno americano sta diventando un incubo, e non solo per i migranti o per gli strati più poveri della popolazione (per i quali realisticamente lo era già da tempo). La rivista Nature ha fatto un sondaggio tra gli scienziati che vivono negli Stati Uniti. Il 75 per cento delle persone che hanno risposto (in tutto circa 1.650) sta pensando di lasciare il paese. In particolare i ricercatori più giovani e all’inizio della loro carriera”.
Seguono numeri impressionanti e questa spiegazione: “Sulla decisione pesano i tagli ai fondi per la ricerca; il blocco dei finanziamenti; i licenziamenti di decine di migliaia di dipendenti federali, tra cui molti scienziati; gli attacchi alle università e le misure repressive sull’immigrazione. Molti scienziati vorrebbero trasferirsi in Paesi dove hanno già amici, parenti o legami accademici. “In qualunque paese sostenga la ricerca”, ha scritto una delle persone che hanno risposto al sondaggio. Alcuni hanno intenzione di tornare nel loro paese d’origine”.
Chiosa l’editorialista: “Per l’Europa sarebbe il momento di dimostrarsi aperta e accogliente. E lungimirante”.
Nel rapporto “Much More Than a Market” presentato nell’aprile 2024, Enrico Letta ( che del tema parlò anche in una recente conferenza sempre dell’Union Valdôtaine) propone l’introduzione di una “quinta libertà” nel Mercato Unico europeo, focalizzata su ricerca, innovazione e istruzione. Questa nuova libertà mira a rafforzare lo Spazio Europeo della Ricerca (ERA), promuovendo una maggiore integrazione e collaborazione tra gli Stati membri in questi settori cruciali.
L’obiettivo è superare la frammentazione attuale, creando un ambiente più coeso che favorisca la mobilità dei ricercatori e lo sviluppo di progetti innovativi su scala continentale. Secondo Letta, l’implementazione di questa quinta libertà è essenziale per aumentare la competitività dell’Unione Europea a livello globale, soprattutto in un contesto in cui altre potenze economiche stanno investendo massicciamente in ricerca e sviluppo.
Gli Stati Uniti arretrano e la Cina incombe, come altre potenze emergenti come l’India?
Che l’Europa diventi più attrattiva e spinga sull’acceleratore per recuperare ritardi, ma che ciò avvenga in una vera logica comunitaria.