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04 giu 2024

Lo sbarco in Normandia

di Luciano Caveri

Ero stato nel 2019 in Normandia, nei luoghi del celebre sbarco di cui si evocavano allora i 75 anni trascorsi dal celebre evento bellico. Nelle prossime ore saremo giunti ormai all’ottantesimo anniversario.

In quel viaggio, vissi le tappe di quella gigantesca operazione militare non solo con lo sguardo e con il bagaglio storico che avevo, ma ho potuto seguire una serie di ricostruzioni filmate assai preziose, in diversi memoriali e musei. Le tecnologie più moderne rendono vivi quei momenti drammatici e decisivi, incrociatisi con destini umani di quel numero enorme di soldati che si sacrificarono contro il mostro nazista ed il fascismo italiano sua ruota di scorta, cui contribuì la Resistenza francese. Allora me la presi con neofascisti e neonazisti, che osano riabilitare personaggi dei rispettivi regimi. E invitavo a farli strisciare sulle sabbie delle spiagge, a farli inginocchiare di fronte alle migliaia di tombe, avvedere i filmati d'epoca che non sono videogiochi di guerra. Oggi farei la stessa cosa - ecco la necessaria aggiunta - con i pacifinti di certa Sinistra estrema, adoratori della Russia. Anche in questa campagna elettorale per le Europee sono riusciti nella miseria di girare la frittata e prendersele più con gli aggrediti ucraini che con gli aggressori russi con un Putin che percorre la strada di dittatori del passato.

Mi sono commosso laggiù in Normandia, pensando a chi sbarcò (americani, inglesi, canadesi, francesi, polacchi, belgi, cecoslovacchi, olandesi, norvegesi…) per liberare la Francia e molti degli arrivati dagli States neppure sapevano bene dove fossero quei luoghi dove si trovavano a combattere in nome e per conto della democrazia. Scrisse il comandante in capo dello sbarco in Normandia, Ike Eisenhower, che poi divenne Presidente, un messaggio ai soldati un lungo messaggio commovente, di cui cito una sola frase: ”Domani è il Giorno, domani ci si gioc

a tutto: vittoria o sconfitta, libertà o tirannia, vita o morte”. E' ora che persone di diverso credo politico si uniscano senza balbettamenti contro una Storia falsata, riempita di bufale e di cattiverie. Il nazionalismo cattivo e violento non è morto con la Seconda guerra mondiale risorge ed inquina la parte buona, identitaria che ogni popolo rivendica, cercando però - e lo dico da Autonomista valdostano - ciò che unisce nell'Europa di oggi e non pervicacemente usare odio e menzogne per riaccendere fuochi di guerra, che sono ancora latenti sotto le ceneri del passato.

Ci sono dispensatori di ”semi del male" che avvelenano il futuro dei nostri figli e non si tratta affatto di essere di Destra o di Sinistra, ma di essere persone pensanti a qualunque schieramento si appartenga. Bisognerebbe rendere obbligatoria per ogni europeo la visita ad "Omaha Beach", nome in codice dato dagli alleati ad una delle cinque spiagge su cui avvennero gli sbarchi. Nei settanta ettari del complesso funebre ci sono le spoglie di 9.387 soldati americani, 307 dei quali ignoti e quattro di sesso femminile, per la grande maggioranza deceduti durante le operazioni belliche. Tuttavia i militari qui sepolti rappresentano solo una parte dei caduti, dal momento che circa 14mila di essi sono stati rimpatriati per volere delle famiglie. Non ho vergogna di dire che ho pianto in una giornata grigia e nebbiosa, guardando - riparato da un ombrello sotto la pioggia - la fila infinita di croci e di "stelle di David" a beneficio degli ebrei che morirono durante lo sbarco. I cimiteri di guerra sono più di un terribile ammonimento. Già attorno a Strasburgo, altra frontiera bellica per secoli, avevo visto cimiteri così, che ci devono scuotere in profondità ed ammonirci contro chi attizza divisioni e esalta non le proprie doti a fin di bene, ma ingenerando incomprensioni verso gli altri, come brodo di coltura che poi sfocia in drammi della Storia.

Fa impressione che per annunciare in codice lo sbarco imminente venne usato da "Radio Londra" un celebre verso di una struggente poesia, "Chanson d'automne", di Paul Verlaine: «Les sanglots longs des violons de l'automne blessent mon coeur d'une langueur monotone». Non esiste sulle vicende del passato il diritto all'oblio e la falsificazione dei fatti è un fatto gravissimo che dev'essere rigettato, anche quando si manifesta un antiamericanismo che dimentica il ruolo degli Stati Uniti per la liberazione dell’Europa.

Quante volte mi sono sentito dire «i morti sono tutti uguali», come se - passato il tempo - una sorta di livella rendesse tutto accettabile. Il lutto e la partecipazione umana non servono come lavatrice per la coscienza di chi, anche per le circostanze più comprensibili, si trovò a combattere contro la Libertà e contro la Democrazia. Non si tratta solo di celebrare i vincitori come gli americani che accorsero in Europa o del contributo dell’Armata Rossa, ma di ricordarsi di chi decise di combattere dalla parte giusta e non è equiparabile a chi, pur con senso del dovere, indossava divise al soldo di una visione totalitaria e distruttiva.

E oggi, se si deve aggiungere qualcosa, c’è il rigurgito atroce dell’antisemitismo, cui fa da complemento la follia di chi persino plaude ad Hamas e i suoi orrori. Non si tratta di tacere sugli eccessi di Israele nella risposta legittima all’attacco atroce del 7 ottobre, ma di evitare che gli ebrei tornino ad essere capri espiatori.

Lo ha scritto bene su Repubblica Bernard-Henri Lévy (che ieri ha organizzato una manifestazione sul tema al Théâtre Antoine, a Parigi) un un editoriale di cui cito una sola frase a poche ore dal voto per le Europee: “Nessuno dovrebbe poter entrare nel Parlamento di cui Simone Veil, sopravvissuta di Auschwitz, fu la prima presidente, senza avere a cuore l’irrimborsabile debito dell’Europa nei confronti di questo piccolo popolo così strano, così singolare e la cui persecuzione è sempre stata il più infallibile degli evidenziatori di disumanità: chi ne parla? Chi se ne commuove?”.