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04 apr 2023

Le valanghe non sanno che sei esperto

di Luciano Caveri

Domenica scorsa, prima che purtroppo venissero rinvenuti i corpi senza vita di due scialpinisti torinesi investiti il giorno prima da una valanga in Valtournenche, leggevo la rassegna stampa mattutina che confermava il numero di tragedie analoghe su tutte le Alpi. Così di getto su Twitter ho scritto in modo che ritengo educato: “È sconcertante che ci siano scialpinisti che disattendono i bollettini che indicano pericolo, esponendo i soccorritori a rischi per salvataggi assai costosi per la comunità, spesso purtroppo solo per recuperare le salme di chi è stato vittima della propria imprudenza”. Quindi non c’è stata - come ben capito dai miei followers - alcuna indelicatezza rispetto al lutto delle famiglie dei due torinesi scomparsi tragicamente. Era un’osservazione generale, che prescindeva dalla scelta dei singoli che hanno nel caso di cronaca specifico sfidato l’oggettività dei pericoli causati dalle condizioni della neve, che erano ben esplicitati nel bollettino valanghe. Questi comportamenti si ripetono ormai con triste regolarità che siano praticanti dello scialpinismo o l’insieme di discipline riunite con il termine freeride e cioè le attività fuoripista in neve fresca. Mi sono occupato del Soccorso Alpino molte volte nel mio lavoro politico, ma anche prima. Ero difatti un giovane giornalista quando all’inizio degli anni Ottanta salivo al rifugio Monzino, dove il grande innovatore delle tecniche di soccorso, la guida Franco Garda, istruiva i suoi colleghi più giovani e i medici rianimatori alle diverse pratiche possibili e in primis a quanto ruotava attorno all’affermarsi dell’elisoccorso. Per cui fu naturale seguire questo filone con apposite norme legislative di supporto a Roma e ad Aosta, ma anche seguendo queste questioni a Bruxelles. Per questo gioco di squadra la Valle d’Aosta è sempre stata al vertice nelle attività di soccorso in montagna con equipaggi, cominciando da piloti di grande maestria, che hanno creato un sistema di salvataggio di grande efficacia. Sono stato testimone di interventi in quota eseguiti con grande perizia e di importanti esercitazioni per essere pronti ad ogni evenienza. Chi interviene in alta montagna lo fa sempre con una notevole componente di rischio e ho visto situazioni in cui solo il coraggio e la determinazione dei soccorritori hanno fatto la differenza. Questo significa per la Valle investimenti notevoli in uomini e mezzi, senza mai lesinare in formazione e in attrezzature. Quel che è certo è che proprio questa nostra professionalità è elemento rassicurante per chi abita e frequenta la nostra Regione. Ma non si può pensare che questo possa significare un approccio sbagliato o facilone al mondo della montagna. Troppi, anche molto capaci, sono morti non avendo calcolato la componente di pericolo in determinate circostanze, anche quando in modo evidentissimo sarebbe stato meglio non affrontare la montagna. Sull’ultimo incidente ha detto a Enrico Martinet de La Stampa il grande alpinista Hervé Barmasse: “Mi preme dire che le analisi si fanno sempre dopo sciagure. È giusto, s'impara e si ha uno sguardo differente, ma resta il dolore, l'immenso dispiacere. Per tornare a sabato il bollettino valanghe indicava 4 su una scala di 5 gradi. Con 5 si chiudono le strade, per capirci, con 4 il pericolo è evidente ed è consigliabile scegliere itinerari dove ci sono le guide del posto, oppure sciare al bordo delle piste battute”. Ma l’altro punto è chiaro e riguarda un tema importante e cioè la capacità di fare quando necessario un passo indietro: ”Rinunciare fa la differenza tra la vita e la morte. I consigli di sempre, bollettini, chiedere ai professionisti del posto, ma soprattutto pensare che tutto dipende da te e se sbagli muori. Ti giochi tutto”. Un grande esperto di valanghe e grande alpinista, André Roch, disse: “Anche gli esperti muoiono sotto le valanghe, perché le valanghe non sanno che sei esperto”.