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15 mar 2021

Brutta storia l'odio

di Luciano Caveri

Si scrive molto dell'amore e molto meno dell'odio. L'amore è un motore straordinario, facilmente ammantato di retorica. L'odio è un lato oscuro, difficile da ormare di troppi orpelli. Difficile nasconderlo nella sua nudità. In breve Bertrand Russel: «L'amore è saggio. L'odio è folle». Un anno fa si è molto fantasticato sull'amore come collante per reagire con lo slogan "andrà tutto bene" su cui, purtroppo, abbiamo soffiato una candelina. Chi lo ha fatto allora ha oggi smesso di cantare sui balconi e nessuno fa più grandi dichiarazioni sul fatto che questa prova della pandemia ci avrebbe reso migliori. Mano a mano ci siamo raggrinziti e vediamo spostarsi l'orizzonte, che sfugge ogni volta che pensiamo di avere raggiunto.

Cosa c'entra l'odio? Questo temo davvero che sia un virus nel virus. Noto che l'amaro si diffonde a macchia d'olio. Lo si vede con chiarezza sui "social". Basta un qualunque pretesto e si scatena un pandemonio. Un tempo questo era patrimonio degli odiatori: chi usa la rete, ed in particolare i "social network", per esprimere odio o per incitare all'odio verso qualcuno o qualcosa. In inglese "hater", ormai passato in italiano, che viene dal verbo "to hate", appunto "odiare". Lo si usò per la prima volta nel 2008 e significa con una definizione standard: "Chi naviga sul web e frequenta i social network si sarà imbattuto più di una volta nei cosiddetti "haters". Nascosti spesso sotto i nickname più improbabili, questi utenti avvelenano le discussioni con i loro commenti improntati ad un odio violento e immotivato. Non si tratta di qualche post particolarmente aggressivo, ma di un atteggiamento costante di disprezzo e provocazione, che inquina le discussioni on line". Dunque esistevano ed esistono, ma si sono moltiplicati e diventa un vanto, per cui molti hanno tolto la maschera e si esibiscono. Pareva esistere una specie di cordone di sicurezza, ormai saltato e per essere cacciati dai "social", in barba a tutte le regole di policy, bisogna veramente eccedere infinitamente. Ma non è solo questo. Anche nelle conversazioni usuali, senza usare ironia o sarcasmo che vanno colti e accettati, si insinua sempre più con violenza l'odio con il suo codazzo di sinonimi come "astio", "avversione", "disdegno", "disprezzo", "esecrazione", "livore", "risentimento", "antipatia", "inimicizia", "ostilità". Capita a tutti nella vita di provare qualcuno di questi sentimenti ed emozioni, ma oggi la cappa che si respira sembra davvero venefica e pericolosa, eccessiva e ossessiva. Ha scritto lo scrittore James Baldwin: «Immagino che una delle ragioni per cui le persone si aggrappano ai loro odi così ostinatamente è perché percepiscono, una volta che l'odio non c'è più, che saranno costretti ad affrontare il dolore».