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11 nov 2020

Via la malinconia

di Luciano Caveri

Una specie di pesante cappa grava sulle nostre teste e si potrebbe usare, anche per la minaccia della malattia che colpisce attorno a noi con crudezza, l'immagine plastica della "spada di Damocle". I meno giovani ricorderanno i versi di una vecchia canzone di Ornella Vanoni, che fotografa di tanto in tanto le mie giornate: «E' uno di quei giorni che ti prende la malinconia, che fino a sera non ti lascia più». Capita di questi tempi, qualunque cosa si faccia in questa nostra comunità valdostana, e non è solo una questione chiusa al nostro interno, ma si dilata sino al mondo intero con la ferocia di una pandemia che ha cambiato molte cose. La "zona rossa" in cui è caduta la Valle d'Aosta è un ritornello di fatto al "confinamento" ed è un investimento sgradevole per ridurre i contagi. L'altro giorno ho vissuto il personale paradosso di ritirare il nuovo passaporto, perché il vecchio era scaduto e pensare, appunto, che chissà quando mai lo adopererò!

Sono per natura un ottimista ed ho sempre pensato quanto le generazioni precedenti alla mia abbiano vissuto storie grame, in particolare con le guerre mondiali. Ho avuto la fortuna di sentire certi racconti dai miei nonni materni, dai miei genitori, dai miei zii e da tanti amici più vecchi di me, perché mi è sempre piaciuto sin da ragazzo avere amicizie con persone più vecchie di me, trattandosi di una grande possibilità di abbeverarsi a fonti dirette della nostra Storia. Ed oggi che ho capelli bianchi sono lieto io stesso di poterlo fare con i giovani e vorrei poterlo fare ancor di più. Questa volta, però, è arrivata la nostra prova ed è un passaggio che stiamo vivendo in corsa. Ci si rende conto, in passaggi come questo, quanto sia difficile percepire il flusso degli eventi, quando si tingono di coloriture scure e si hanno responsabilità in prima persona. Esiste in questa vicenda così umana questa forbice che costerna. Da una parte gli anziani cui dobbiamo - e non solo per una questione sentimentale - tutto il nostro rispetto. Guardavo il bollettino di ieri della malattia e le sette persone scomparse con un'età che addolora: 78, 83, 87, 90, 85, 91, 81. Numeri freddi dietro ai quali, così dev'essere, ci sono vite vissute, storie personali, affetti e famiglie. Dall'altra ci sono i nostri bambini, piccolissimi o più grandicelli, che sono la nostra speranza e sono loro che devono aiutarci a spezzare via ogni rischio di nostalgia. Mi chiedo ogni tanto, guardando il quasi decenne Alexis, che cosa resterà di questo periodo e quale memoria avrà di sé e di noi. Ma la memoria l'avrà di sicuro. Diceva il grande montanaro, Mario Rigoni Stern: «La memoria è determinante. E' determinante perché io sono ricco di memorie e l'uomo che non ha memoria è un pover'uomo, perché essa dovrebbe arricchire la vita, dar diritto, far fare dei confronti, dar la possibilità di pensare ad errori o cose giuste fatte. Non si tratta di un esame di coscienza, ma di qualche cosa che va al di là, perché con la memoria si possono fare dei bilanci, delle considerazioni, delle scelte, perché credo che uno scrittore, un poeta, uno scienziato, un lettore, un agricoltore, un uomo, uno che non ha memoria è un pover'uomo. Non si tratta di ricordare la scadenza di una data, ma qualche cosa di più, che dà molto valore alla vita».