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20 ott 2020

Valle d'Aosta: zona rossa e brutti dati

di Luciano Caveri

In queste ore la Valle d'Aosta torna ad avere livelli record di diffusione del "coronavirus": per essere precisi è la regione con l'indice di trasmissibilità (Rt) del coronavirus più alto in Italia. Il coefficiente - secondo il monitoraggio settimanale dell'Istituto superiore della Sanità (periodo fra il 5 e l'11 ottobre) - è 1,53. Tre Comuni sono stati "chiusi" con conseguenze per tutti, visto che la Statale 26 è stata interrotta per alcuni chilometri, obbligando a prendere un tratto di autostrada. I disagi sono evidenti per chi è in quarantena con frontiere e già si sa bene che eventuali allargamenti della zona o ulteriori focolai circoscritti potranno esserci ancora altrove. Sono stupefatto di leggere di persone di elevato livello culturale che inseguono, anche in Valle d'Aosta, teorie complottiste a diversi livelli di gravità e credo che sulla questione vada fatta un minimo di pulizia per non lasciare margine al dubbio.

Questo va fatto specialmente ora quando sento dire che ci sono i contagiati che non sono malati (sarebbero gli "asintomatici"...) e che i malati stanno spesso bene (ora si sa come reagire meglio, pur non essendoci il vaccino!). Taccio su chi arriva a sostenere che tutto è inventato dalle multinazionali del farmaco, se non persino che si è di fronte ad un disegno mondiale di chissà quali congreghe per controllare le nostre vite se non per sfoltire l'umanità, negando spesso l'esistenza stessa del virus. Non lo dicono - mi ripeto - i sapientoni da bancone del bar o la "casalinga di Voghera" che legge stupidaggini sul Web, ma anche persone almeno apparentemente normali (e non lo sono). La verità semmai è che le Autorità pubbliche sono lente e spesso goffe nelle risposte complessive all'epidemia, talvolta brancolando del buio ed a questo si associa alla nuova casta dei virologi, che - moderni santoni - stentano a dare risposte unanimi e la loro cacofonia innesca anch'essa voci e interpretazioni. E noi cittadini non siamo affatto soldatini di piombo, perché - tranne quando veniamo colpiti vicini e ci viene una paura boia - siamo ormai nella fase stanchezza che genera scetticismo con la voglia se non di strafare talvolta di non applicare le regole a puntino. Per altro cresce - pensiamo alla Scuola - l'impressione che certe misure siano una complicazione degli affari semplici. Per cui capisco che, nell'attesa messianica di cure certe e del già citato vaccino, si innesca un certo caos e nella confusione prospera l'ignoranza. Quando ero in Sicilia, mesi fa, ho accompagnato un amico ad un "Pronto soccorso" e mi sono seguito una lunga e dettagliata spiegazione che arringava la folla in attesa su decine e decine di stupidaggini sul «Coviddi» e mi sconvolgo a trovare certe medesime spiegazioni da analfabeta nella bocca di amici che so essere persone serie. Resta, insomma, un problema serio di informazione e, al di là dei soliti slogan che vanno dal lavarsi le mani al portare la mascherina, dal distanziamento alla misurazione della febbre, che ci hanno ormai stravolti nella loro ripetitività, quel che ci vorrebbe è una seria campagna di massa che non solo informi ma si spinga, come avviene timidamente sul sito del Ministero della Salute, a contrastare le scemenze stupide o persino pericolose. E qui irrompe la necessità di punire severamente i propagatori di menzogne e falsità, specie chi abbindola l'opinione pubblica che si fa prendere all'amo. La repressione non viola nessuna libertà quando serve a evitare che ad approfittare di certe maglie larghe finisca per essere il "coronavirus", che è vivo e vegeto, purtroppo. Tutto ciò non ha nulla a che fare con la discussione legittima sulle modalità di prevenzione, profilassi, arginamento della pandemia. Basta scorrere le notizie su quanto fatto nei diversi Paesi per capire che in molti casi rispetto alò medesimo fenomeno ci sono stati comportamenti assai differenziati. Personalmente resto ancora oggi convinto che, fatto salvo un quadro nazionale di riferimento, spetti alle Autorità regionali e locali poter graduare gli interventi per evitare che ci siano misure eccessive o troppo lasse non tenendo conto della particolarità dei casi riscontrabili. Capisco tutte le difficoltà e la visione centralista resta la peggiore, ma anche le ordinanze regionali devono sempre avvenire in un quadro ragionevole di reazione ai rischi. Anche in questo caso gioca la capacità di informare bene e per tempo non è banale, pensando a "Dpcm" romani e ad ordinanze locali che spesso sono arrivate come fulmini a ciel sereno.