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15 ott 2020

Usare i fondi europei!

di Luciano Caveri

Capita di discutere, anche in questo periodo di complesse trattative politiche in Valle d'Aosta per la formazione del Governo regionale della prossima Legislatura, dell'Unione europea e dell'approccio necessario per chiunque governerà. Inutile dire quanto ritenga necessario riprendere un cammino di maggior presenza e incisività verso Bruxelles non solo con un rilancio del nostro ufficio nella Capitale europea, ma anche riprendendo il filo del Dipartimento regionale che si occupa della materia. Centrale poi è la questione della capacità di spesa dei fondi comunitari a disposizione e la "caccia" ad ulteriori risorse, ma anche una programmazione sul nuovo periodo che porterà al 2027 per non perdere neanche un centesimo. Però esiste anche questo filone, su cui la Valle deve poter contare, degli strumenti europei messi in campo a causa del covid-19. In uno l'Italia è entrata senza remore. Mi riferisco al "Recovery fund", o "Next generation Eu" come lo ha battezzato la Commissione europea, è un nuovo strumento europeo per la ripresa con un bilancio su base temporanea tramite nuovi finanziamenti raccolti sui mercati finanziari per un ammontare pari a 750 miliardi di euro (390 di contributi a fondo perduto e 360 di prestiti).

L'Italia - per capire le cifre - potrà contare su 65,456 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto: il settanta per cento delle allocazioni delle risorse, cioè 44,724 miliardi, è riferito agli impegni per progetti 2021-2022, il resto, cioè 20,732 miliardi, è riferito agli impegni relativi al 2023. Nel complesso la "quota" italiana è di circa 209 miliardi ripartiti in 81,4 miliardi in sussidi e 127,4 miliardi in prestiti. Il resto dei sussidi saranno canalizzati attraverso altri "pilastri" dell'operazione anti-crisi tra cui "React Eu", "Sviluppo rurale" e "Just transition fund". I Governi dovranno inviare alla Commissione europea i Piani di ripresa e di resilienza entro fine aprile 2021. L'Esecutivo italiano ha anticipato, ma è già in ritardo rispetto ad altri Paesi europei prontissimi alla risposta, che l'obiettivo è quello di inviarlo prima di quella scadenza, all'inizio del prossimo anno. Ribadisco che qualcosa deve riguardare anche la Valle d'Aosta per evitare di essere emarginati rispetto ad un flusso finanziario così cospicuo. Resta poi - vittima della demagogia populista dei "Cinque Stelle" - la volontà o meno di adoperare il "Meccanismo europeo di stabilità - Mes", detto anche "Fondo salva-Stati", che nel caso in esame cuberebbe 37 miliardi di euro. Traggo, per la bontà della sintesi, quanto scritto su "Internazionale" da Alessandro Lubello: «Il "Mes" è stato istituito nel 2012 al posto dell'"European financial stability facility - Efsf", la forma originaria del fondo "salva Stati" creato nel 2010 in occasione della crisi del debito greco. E' guidato da un Consiglio dei governatori composto dai 19 ministri delle finanze dell'eurozona. Il Consiglio assume all'unanimità tutte le principali decisioni (in casi eccezionali è richiesta una maggioranza qualificata dell'85 per cento). Il capitale sottoscritto è di 704,8 miliardi di euro, di cui 80,5 sono stati versati; la sua capacità di prestito arriva a 500 miliardi. L'Italia ha sottoscritto una quota di capitale per 125,3 miliardi, versandone 14. Insieme alla Germania e alla Francia, ha diritti di voto superiori al 15 per cento e quindi da sola può bloccare anche le decisioni per cui è richiesta la maggioranza qualificata. La funzione fondamentale del "Mes" è concedere, sotto precise condizioni, assistenza ai Paesi dell'eurozona che hanno temporanee difficoltà nel finanziarsi sul mercato. Le condizioni per il ricorso al "Mes" possono variare in base allo strumento usato. Ci sono le "Precautionary conditioned credit line - Pccl", linee di credito riservate ai paesi che rispettano il Patto di stabilità e crescita, che non presentano squilibri macroeconomici eccessivi e che non hanno problemi di stabilità finanziaria: in questo caso le condizioni sono blande (basta, per esempio, una lettera d'intenti del Paese richiedente). Poi ci sono le "Enhanced conditions credit line - Eccl", prestiti destinati ai Paesi che non rispettano pienamente i criteri di stabilità finanziaria: per loro è prevista una "condizionalità rafforzata", cioè una serie di misure correttive e di riforme specificate in un apposito memorandum. Quando è esplosa la pandemia di covid-19, l'Unione europea ha inserito il "Mes" tra gli strumenti disponibili per contrastare la crisi economica provocata dall'emergenza sanitaria e dalle rigide misure di distanziamento sociale. Il 9 aprile l'Eurogruppo, che riunisce i ministri delle finanze dell'eurozona, ha lanciato un pacchetto di misure da 540 miliardi di euro. Accanto al programma "Sure", che finanzia i sussidi per chi perde il lavoro, e al sostegno alle imprese della Banca europea degli investimenti, l'Eurogruppo ha stabilito che il "Mes" avrebbe reso disponibile una linea di credito "Eccl" a tutti i Paesi dell'eurozona per un ammontare massimo di 240 miliardi di euro. Ogni Paese può chiedere una somma pari al due per cento del pil registrato alla fine del 2019: nel caso dell'Italia, quindi, la cifra sarebbe di circa 36 miliardi di euro. Il "Mes" concederà prestiti della durata massima di dieci anni a un tasso dello 0,08 per cento. La linea di credito sarà disponibile per due anni al massimo. L'unica condizione per accedervi è che il Paese richiedente usi i soldi per spese sanitarie legate alla crisi del covid-19. Il principale vantaggio del ricorso al "Mes" è rappresentato soprattutto dalla possibilità di risparmiare. Attualmente l'Italia paga interessi dell'1,5 - 2 per cento sui titoli di stato a dieci anni: con gli interessi garantiti dal "Mes", quindi, risparmierebbe circa 500 milioni all'anno per dieci anni. Non è una grande cifra per un Paese che ha un debito pubblico di circa 2.500 miliardi di euro. Ma è innegabile il fatto che all'Italia 36 miliardi a tasso sostanzialmente nullo e a lunga scadenza concessi per rafforzare il sistema sanitario in un momento come questo facciano comodo». Aggiunge poi il giornalista: «La principale obiezione di chi si oppone all'uso del "Mes" è che il prestito sia un cavallo di Troia per far arrivare la "troika" a Roma e imporre misure di risanamento dolorose e umilianti, sul modello della Grecia. Inoltre, il ricorso a questa linea di credito imprimerebbe al Paese "uno stigma politico ed economico", soprattutto se fosse l'unico a rivolgersi al "Mes". In effetti chi usa i soldi del fondo salva Stati è soggetto alla sorveglianza rafforzata, un programma di vigilanza che può portare la Commissione europea a chiedere un programma di aggiustamento macroeconomico. Ma il 7 maggio Bruxelles, e in particolare il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis ed il commissario per l'economia Paolo Gentiloni, ha inviato una lettera al "Mes" (poi approvata dall'Eurogruppo) dicendo che, date le condizioni eccezionali in cui è stato lanciato il programma di contrasto alla crisi e dal momento che si tratta di misure temporanee, la Commissione non applicherà la sorveglianza rafforzata, ma si limiterà a controllare solo che i soldi siano spesi per gli obiettivi previsti». Insomma: entrambi gli strumenti descritti offrono opportunità e quest'ultimo, il "Mes", va utilizzato senza pregiudizi e la politica valdostana deve avere idee e non perdere le occasioni.