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08 ott 2020

Oggi vado a scuola (con la fantasia)

di Luciano Caveri

Capisco che sono infantile, ma questa storia di certe date simboliche durerà per sempre e mi ci attacco come Linus alla sua coperta. Così il 1° ottobre è una macchina del tempo. Per me fu sempre quello l'inizio dell'anno scolastico, tranne l'ultimo anno quando - per una legge dell'agosto del 1977 - la data fu spostata al 20 settembre, Non ho, come certi amici, tanti ricordi di quand'ero piccolo, ma quel primo giorno di scuola del 1964 - e non avevo ancora sei anni - lo ricordo bene come una bolla di preoccupazione per quello che mi aspettava. Non avevo fatto l'asilo e dunque l'impatto era certo più impegnativo e per qualche mese trovai qualche scusa per restare qualche volta a casa, poi furono anni bellissimi in tutto il percorso della scuola sino alla Maturità (l'Università è cosa diversa). Compatisco i bambini che oggi vanno a scuola all'inizio di settembre, mese che per me era la fine delle vacanze e sentivi già quel misto fra nostalgia e languore in vista della ripresa delle lezioni e anche, in certi casi, degli esami di riparazione!

Ero uno studente bizzarro che divorava i libri, ma certe materie mi mettevano l'orticaria e quando vedo i miei compagni delle elementari e delle medie (i coscritti) e quelli del Liceo si apre la saga degli episodi topici di infanzia e giovinezza. Che fastidio mi davano gli adulti che mi dicevano «goditi questi momenti irripetibili!» ed adesso, tipo vecchio bacucco, mi ritrovo, con orrore quando me ne rendo conto, a dire la stessa cosa ai giovani che incontro! Eppure la scuola è importante ed oggi mi sembra trascurata e nulla più del confinamento da "covid-19" di quest'anno, con la grottesca ma necessaria didattica a distanza, ha fatto capire a tutti la sostanza di questo servizio pubblico essenziale il suo ruolo enorme. Ci vogliono più risorse, più idee, più qualità e dobbiamo spazzar via l'idea che finisca per essere una specie di parcheggio, specie con l'obbligo scolastico a sedici anni. Troppe scuole in Valle, specie alcune professionali, sono diventate una specie di "Bronx" ed è inaccettabile, come lo è la sensazione che troppo spesso manchino le basi essenziali pure in chi finisce il percorso scolastico. E l'abbandono scolastico è una ferita non rimarginabile, pensando al piccolo campione di giovani che oggi abbiamo nell'abisso demografico in cui stiamo precipitando. Bisogna incanalare speranze, energie e vocazioni senza transigere e mirando in alto perché questo è il nostro futuro e, come dicono gli insegnanti appassionati, non si può accettare certa decadenza e l'accettazione di un minimo sindacale di cui contentarsi. Resta il fatto che resto nel cuore un "remigino" da San Remigio, che il calendario fissava allora proprio il 1° ottobre, mentre ora è stato spostato - e sembra un triste presagio - al 13 gennaio, data della morte nel 532. Un Santo interessante, arcivescovo di Reims all'età di ventidue anni, che riuscì, insieme a San Gildardo, a convertire il merovingio Clodoveo I, re dei Franchi, alla religione cristiana. Imbattibile, ricordando quel primo giorno che ci bolla tutti, è in versi Gianni Rodari: «Suona la campanella scopa scopa la bidella, viene il bidello ad aprire il portone, viene il maestro dalla stazione, viene la mamma, o scolaretto, a tirarti giù dal letto... Viene il sole nella stanza: su, è finita la vacanza. Metti la penna nell'astuccio, l'assorbente nel quadernuccio, fa la punta alla matita e corri a scrivere la tua vita. Scrivi bene, senza fretta ogni giorno una paginetta. Scrivi parole diritte e chiare: Amore, lottare, lavorare».