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27 mag 2020

Le Sindromi manzoniane e la Valle d'Aosta

di Luciano Caveri

E' bene rifarsi ai classici, intesi come libri fondamentali che vivono di luce propria, attraversando i secoli e restano sempre un bel supporto per i ragionamenti. Bisogna farne tesoro, perché ad essere onesti viviamo nella logica attuale del "mordi e fuggi", in cui molto spesso la conoscenza viene vituperata a favore di un generale e tragico appiattimento mentale e culturale. Ho letto, nella geniale rubrica di Stefano Albertini, docente universitario negli Stati Uniti, sul sito "La Voce di New York", un articolo illuminante, intitolato "Vengono da Manzoni le nuove sindromi psico-caratteriali da coronavirus". L'elenco godibile e sagace parla di alcuni personaggi manzoniani applicati al "coronavirus" ed alle su vicissitudini e sono Don Ferrante, Don Rodrigo, Fra Cristoforo, Don Abbondio, Perpetua, Gertrude e il Conte Zio.

Sappiamo bene come il successo del libro di Alessandro Manzoni stia sia nell'uso della lingua italiana nel suo affermarsi come lingua nazionale, ma anche nella capacità di fare dei personaggi del romanzo un topos di diverse caratteristiche, difetti e qualità esemplari dei caratteri umani. Così la "Sindrome di Don Ferrante", altrimenti catalogabile come "ferrantismo": «Il pedante con le fette di salame sugli occhi che ha letto molti libri, ma ha imparato poco della realtà. L'uomo a cui una cultura libresca fa da schermo e impedisce di vedere le cose come sono. Don Ferrante è un personaggio secondario, ma Manzoni ci tiene a descrivere dettagliatamente la sua fine. Con l'avvicinarsi della pestilenza, don Ferrante, deride i suoi contemporanei preoccupati e facendosi forte dell'autorità di Aristotele sostiene che non essendo la peste né sostanza, né accidente, essa non esiste e così che "non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s'attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle". (capitolo 37) Gli individui affetti da sindrome di don Ferrante, detti anche negazionisti, erano quelli che, soprattutto agli inizi dell'epidemia di "coronavirus2 sostenevano che si trattasse di comune influenza o che fosse frutto di una gigantesca montatura mediatica. Gli affetti da questa sindrome sono rimasti pochi, ma rimangono molto agguerriti». Anche io, ogni giorno, ne incontro, pronti ad immolarsi, con aurea fra complottismo e logiche antiscientifiche, ed a spiegarti la vita a te, anima candida, «che non capisci». A me questa ricostruzione del "ferrantismo" piace molto per la sua implicazione in quella parte di mondo autonomista che è convinta - non solo per il "coronavirus" - che questa sciagurata epoca politica non implichi cambiamenti importanti. In questo simili agli orchestrali del "Titanic", che suonavano mentre il transatlantico imbarcava acqua dopo lo scontro con l'iceberg, ma loro ritenevano che la barca fosse inaffondabile. Il "ferrantismo" autonomista sembra non accorgersi che il virus ed i problemi epocali che ha innescato hanno solo accelerato un processo di degrado e di svilimento della nostra Autonomia speciale. Vivono nel bearsi delle loro azioni, mentre crolla un mondo perché è dall'interno che si sta muovendo un processo di autodistruzione, del tutto nuovo rispetto ai soliti attacchi esterni, basati nel tempo sul disco rotto dei «ricchi e privilegiati». Ho sempre detto in passato: meglio far invidia che pietà. Ma questa volta il male oscuro divora la fiducia e deriva da troppa politica imbelle, da un'amministrazione imballata, da valori che non sono praticati nella realtà e da un senso di sfiducia che si accentua per la crisi economica e morale. Sarebbe bene evitare il disastro con gli occhi ricoperti di pelle di salame dal "ferrantismo". Ma in certi casi emerge una seconda sindrome, di quelli che furbeggiano per stare a galla e che Stefano Albertini così abilmente tratteggia: «Due personaggi secondari dei "Promessi Sposi", ai quali, però, Manzoni affida uno dei dialoghi più riusciti e memorabili, al centro del capitolo XIX. Durante il colloquio, il Conte, zio di don Rodrigo, chiede al Padre Provinciale dei Cappuccini di trasferire Fra Cristoforo lontano dal convento di Pescarenico per evitare che il rancore del signorotto nei confronti del frate, che ha protetto e aiutato a fuggire Renzo, Lucia ed Agnese, possa degenerare in un conflitto pericoloso sia per l'ordine religioso che per la nobile famiglia. Con le consuete pennellate essenziali, Manzoni descrive così il loro confronto: "Due potestà, due canizie, due esperienze consumate si trovavano a fronte". E la conclusione, leggendaria, del loro dialogo è tutta racchiusa in due verbi, ripetuti a chiasmo per rendere il messaggio ancora più chiaro e memorabile: "Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire"». La "Sindrome del Conte Zio", pratica purtroppo esistente anche in Valle d'Aosta per far finta di niente su quanto non funziona più nelle Istituzioni valdostane è anch'esso una male da sconfiggere.