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01 giu 2020

Come morì Émile Chanoux

di Luciano Caveri

Non è un'operazione di archeologia storica occuparsi ancora oggi di Émile Chanoux. In un'epoca nella quale uno stupefacente entusiasmo popolare accompagna anche il passaggio in Valle d'Aosta delle "Frecce Tricolori" (cui va il mio massimo rispetto), con un’evidente logica "panem et circenses", riflettere su di un personaggio chiave dell'Autonomismo valdostano è importante. Non per assecondare chissà quale logica contrapposta ad una simbolistica "italiana" (ognuno fa quello che vuole), ma per far capire che esistono ragioni profonde per credere in aspetti identitari propri, per nulla morti e sepolti, pur in epoca di mondializzazione. Anzi, mai come ora - per chi crede nel federalismo, di cui Chanoux resta uno dei fari - le diverse identità devono convivere come elemento arricchente e la sovranità diffusa con la sussidiarietà resta fondamentale per una democrazia matura.

Oggi il martire dell'Autonomia valdostana è senza dubbio fra le figure più importanti del Novecento, con l'aura che gli deriva da una morte a soli 38 anni, quando era leader della Resistenza valdostana, nata da quella "Jeune Vallée d'Aoste" che fu un baluardo contro il regime fascista. In troppi lo citano senza averlo mai letto e leggendolo (ma io ho anche ricordi di famiglia) si ritrova in lui una capacità di visione del futuro della Valle, anche se resta un uomo del suo tempo e dunque è ovvio che il pensiero Autonomista non possa restare fermo lì, ma debba nutrirsi anche di nuove idee e nuovi pensieri. Non lo scrivo in una logica di svalutazione, ma certi scritti - che sono ancorati a un momento storico - sono fonte di ispirazione per noi che viviamo in un mondo estremamente diverso da allora e non si può scimmiottare un insieme di idee poste in altra epoca storica. Se Émile Chanoux fosse vivo probabilmente prenderebbe a calci nel sedere molti che usano sue citazioni da posizioni politiche strampalate e senza quella conoscenza culturale che lo stesso Chanoux pretendeva in quel cenacolo di giovani da cui emerse una buona parte della classe dirigente del dopoguerra e anche quel particolarismo politico che ha fatto della Valle d'Aosta un modello, che ora si rischia di disperdere per dilettantismo e improvvisazione. E' uscito in queste ore un libro scritto a due mani da Leo Sandro Di Tommaso e Patrizio Vichi (che è all'origine di alcune scoperte in un documentario già andato in onda su "Rai Vd'A"), intitolato "Émile Chanoux, non fu suicidio", sottotitolo appunto "dal documentario al libro". Sono 150 pagine, con apparato documentario e fotografico, che ricostruiscono il ritratto di Chanoux e si occupano - a mio avviso in modo definitivo - di una questione che è stata discussa molto: Chanoux fu ucciso o si uccise in quella notte del maggio 1944, quando venne arrestato e sicuramente torturato dai fascisti? L'esito conclusivo esclude il suicidio sulla base di una ricostruzione accurata e scientifica, che si occupa anche di tutte le vicende processuali, piene di ambiguità e sottovalutazioni, comprese alcune inspiegabili testimonianze rese all'epoca. Come quella di un personaggio storico importante come fu Lino Binel, personalità di spicco dell'antifascismo, anche lui in quelle ore fatidiche in arresto negli stessi locali, di cui gli autori evidenziano le contraddizioni, che sono servite per sentenze sconcertanti. Il libro, dunque, è ricco di approfondimenti e suggestioni. Interessante anche l'introduzione, che scava nelle questioni e non è un esercizio di stile da parte dell'autore, Paolo Momigliano Levi: «Severino Caveri pubblica a Bonneville nel 1968 il suo "Souvenirs et révèlations - Vallée d'Aoste (1927-1948)". Esule in Svizzera l'11 settembre del 1943 per motivi politici, anche Caveri aveva ricevuto notizia, che si era diffusa fra i rifugiati verso la fine del mese di maggio del 1944, che "le 18 mai Èmile Chanoux le meilleur des Valdôtains avit été arrêté, torturé et tué par les nazi et par les fascistes". All'origine del dramma di Chanoux si dice - precisa Caveri - che siano stati i partigiani di Champorcher, che erano in contatto in Svizzera con il conte Enrico Marone Cinzano "Glass", accreditato presso l'Oss americano e legato agli industriali piemontese. Ciò getta luce sull'idea che Chanoux sia stato arrestato sì, come protagonista della Resistenza e come fautore dell'Autonomia valdostana, ma soprattutto per sbarrargli la strada nella direzione di una Valle d'Aosta su cui già da qualche tempo gli ambienti industriali piemontesi avevano posato gli occhi per lo sfruttamento (le ricchezze idriche e minerarie erano già da tempo sfruttate). Da altre fonti sappiamo che lo sfruttamento turistico, specie se si fosse finalmente realizzato il traforo del Monte Bianco, avrebbero fatto gola negli ambienti economici italiani, ma anche in quelli francesi, i primi ad assicurare i valdostani che la Francia avrebbe realizzato il traforo. Gli interessi nel settore erano rappresentati dall'ingegner Secondino (Dino) Lora Totino, che aveva nel suo programma anche l'apertura di una strada carrozzabile nel cuore del Monte Bianco, che unisse l'Italia alla Francia, e dell'ingegner Adriano Olivetti, che aveva un approccio assai meno speculativo al tema della valorizzazione del territorio valdostano e canavesano: un approccio più in linea con l'idea di Chanoux di un turismo che fosse rispettoso del territorio e dell'ambiente. Dietro al contrasto fra Autonomisti e annessionisti si celavano in ultima istanza anche divergenti interessi economici, e il tema del futuro economico delle valli alpine era ben presente nel pensiero di Chanoux, che l'aveva palesato anche in "Federalismo e Autonomia". Non è qui la sede per approfondire questo problema, che pure avuto dei riflessi anche sull'arresto di Chanoux: nel cassetto del suo studio gli agenti della Questura avevano scoperto non solo quanto aveva diretta attinenza con la lotta partigiana e con i collegamenti con inglesi, ma anche il testo della dichiarazione su "Federalismo e Autonomia" che lo legava riprodurre autonomistico della Valle d'Aosta alla ricostruzione su basi nuove dello Stato italiano». Un giorno verrà in cui, com'è stata fatta chiarezza sul suicidio, si capirà di più sul "fuoco amico" che indicò Chanoux ai suoi assassini.