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03 mag 2020

L'emergenza non sospende la democrazia

di Luciano Caveri

La parola "emergenza", come molte altre viene da un verbo latino, "emergere", che vuol dire affiorare dalla superficie. L'anglicismo "emergency", che ne è derivato, è spuntato nell'italiano con il termine emergenza, che sarebbe "una situazione imprevista di crisi o di pericolo". Ovvio che il "coronavirus" appartenga, nel suo dilagare in giro per il mondo, come un'emergenza, poi si può discettare sul fatto che lo fosse oggettivamente in Cina, un po' meno in Italia, visto che c'era stato di sicuro il tempo per prepararsi meglio ed è quanto, ormai si può dire, non è stato fatto. Comunque sia, nei primi concitati momento, una decina di settimane fa, si è entrati in uno stato di emergenza vera e propria, dopo che, ad essere precisi, già il 31 gennaio il Governo Conte aveva dichiarato lo "stato di emergenza" per l'epidemia, all'indomani di una segnalazione in questo senso dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.

Parecchi giorni dopo, in un clima di un certo scetticismo sull'impatto sull'Italia, si è cominciato a costruire, accelerando da marzo, il castello giuridico di obblighi che hanno portato alla situazione attuale, sintetizzata in questo ultimo "Dpcm - Decreto del presidente del Consiglio dei Ministri" di ben settanta pagine con cui si apre timidamente alla "fase 2", ma con i provvedimenti governativi e le molte ordinanze delle Regioni si potrebbero ormai riempire dei volumi ponderosi. Raramente e solo in un secondo tempo le Assemblee elettive, Camera e Senato, così come i Consigli regionali, hanno cominciato a fare il loro lavoro attraverso sistemi di teleconferenza che rendono tutto più difficile e su aspetti riguardanti principalmente misure economiche che hanno bisogno di stanziamenti. Ma le decisioni sui comportamenti dei cittadini e le loro libertà personali e d'impresa, così come per la scuola o i trasporti e mille altre materie, sono rimaste in capo agli esecutivi, anzi nel caso dei "Dpcm" e delle ordinanze del presidente del Consiglio e dei presidenti di Regione. Il che, oggettivamente, andava benissimo nella prima fase, mentre ora rispetto alla legittimità costituzionale, visto il protrarsi del tempo e il dilatarsi dei settori toccati, legittimamente in tanti - me compreso - iniziano a chiedersi se tutto ciò sia normale o stia creando un dirigismo dubbio e persino inquietante. Il mio amico occitano, Mariano Allocco, ne ha scritto e lo pubblico. Lo ha scritto nelle ore del 25 aprile: «Per mio padre, classe 1926, partigiano col capitano Piero Cosa dalla fine di settembre del'‘43 fino alla Liberazione in Val Pesio, il 25 aprile lo passava in silenzio, per lui era la festa della Democrazia e della Libertà riconquistata e non di altro. Ora proprio sulla Democrazia occorre fare una riflessione. Democrazia, ma cosa significa questa parola? Quella che conosciamo noi è nata il 25 aprile del '45, è recentissima ed ora è messa in discussione. Democrazia è lo "strumento" per gestire le istituzioni della Nazione. Suffragio universale, potere legislativo, esecutivo e giudiziario, mentre il Presidente della Repubblica è garante del rispetto della Costituzione. Nel mondo del privato tutto è organizzato in altro modo, lì vigono le regole della Autocrazia, il padrone, che sia una persona o una assemblea di azionisti, decide chi comanda, nomina gli amministratori delegati e i Consigli di amministrazione e ne controlla operato e risultati. Due mondi ben distinti e separati. In Democrazia è prevista la presenza di una opposizione con compito di controllo e di stimolo, l'Autocrazia non prevede opposizione e se c'è viene messa a tacere, la si licenzia. Questa suddivisione metodologica è stata messa in discussione negli ultimi decenni dall'affermarsi dell'approccio "Liberal" (su questo ci tornerò), che prevede tempi contingentati, mentre le persone si confrontano sempre più in modo contrattuale, quasi fossero atomi separati di una società in conflitto e competizione tra loro. L'arrivo improvviso del "coronavirus" ha accelerato queste dinamiche e sta travolgendo tutto e pare quasi che l'intero impianto istituzionale sia un castello di carte. La separazione dei poteri di Montesquieu sta andando a farsi benedire, l'Esecutivo decide senza rendere conto a nessuno e senza curarsi del dettato costituzionale, il Legislativo balbetta e le opposizioni sono al mugugno. Quanto è successo ad Aosta, dove alcuni magistrati hanno sottoscritto una lettera in cui evidenziano tutto questo, è un segnale evidente di una invasione di campo da parte di un Potere indipendente nei confronti degli altri due. Il rischio è che ci si trovi di fronte ad una ibridazione tra Democrazia ed Autocrazia, ma sono i tasselli peggiori dei due metodi di governo che stanno fondendosi. Se non riesco a capire a che "padrone" renda conto la componente autocratica, quella democratica mi sembra navighi a vista. Se poi si guarda l'insieme delle parti in gioco, Governo centrale, Parlamento, Regioni, sindaci in vena di protagonismi, ne viene fuori una cacofonia d'insieme che evidenzia una fragilità evidente». Cacofonia, esatto!