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07 mag 2020

Ti conosco, mascherina!

di Luciano Caveri

Un amico medico mi ha mandato, tempo fa, una pubblicazione tecnica sulle mascherine e vi assicuro che la varietà di modelli e le caratteristiche tecniche, pur molto interessanti (certi esemplari mai potrebbero costare 50 centesimi, prezzo imposto dal Governo), mi impedivano di occuparmi in maniera ragionata della questione per manifesta incompetenza. Ma il tema mascherine resta interessante e sarà, nel fiorire di idee per renderle meno banali nel tempo lungo che verrà, una compagna cui - obtorto collo - ci abitueremo. "Mascherina", racconta l'Etimologico, deriva da "maschera" su cui il dizionario si intrattiene a lungo e lo riporto per i tentativi che mostrano quanto sia difficile scavare nell'origine delle parole.

"Màschera sostantivo femminile [secolo XIII nella variante mascara], sagoma con sembianze umane o animali che copre il volto. Il significato di maschera come "copertura, camuffamento del volto o dell'intera persona" è tardivo e figura per la prima volta in una novella del Boccaccio, mentre la più antica attestazione della parola, che risale alla fine del secolo XII (Uguccione 648) nella forma "mascara" ed è chiosata col latino "larva, spettro, essere demoniaco e spaventoso", mostra una sostanziale continuità con "masca" dell'Editto di Rotari, dove è dato come equivalente del latino "striga, strega", equivalenza che si conserva ancora oggi in occitanico e nella fascia adiacente dei dialetti ligure e piemontese, dove "masca" è la voce comune per "strega". Fra "masca" del VII secolo e "maschera" del XIV c'è dunque uno scarto non solo cronologico, ma formale e semantico, che Corominas cerca di colmare con l'intervento del prestito aramaico "masḫara, buffone", che si sarebbe sovrapposto al primitivo "masca"; soluzione a cui manca il supporto dei documenti e della storia della cultura. Una soluzione diversa è data da Hubschmid, autore della voce nel "Few", che si fonda sulla ricca documentazione dialettale galloromanza, in cui ricorrono "mascar" e "mascarar, tingere di nero, macchiare", "mascarat, annerito", "mascàra, macchia, pezza nera sul muso di un animale", "mascard, pezzato, maculato"; sulla base di questi dati si ricostruisce una voce del sostrato "mask-, nero", base del derivato "maskăro-, di color nero", mediante lo stesso suffisso che ha dato il latino ("glosse") "albărus, pioppo bianco" da "albus, bianco"; il passaggio a "màscara‘, copertura del volto" sarebbe derivato dal costume largamente diffuso di annerirsi il viso con la fuliggine o con l'unto della padella. Il lato debole di questa spiegazione sta proprio nel punto di partenza, cioè nell'ipotetica voce di sostrato "mask-", di cui mancano riscontri, e del suo derivato "maskăro-", privo di continuatori diretti; resta poi la considerazione che la ricorrenza di "masca" come voce non latina in una legge longobarda impone di tentare prima di tutto la via del germanismo. In effetti, fra i vari tentativi in questa direzione, è degno di nota l'intervento di Meuli, che risale all'antico alto tedesco "masca, maglia, rete" (tedesco "masche"), giustificando il passaggio da "rete" a "spettro, essere dell'altro mondo" con la pratica in uso nel mondo germanico di avvolgere i defunti in un sudario fatto di rete con lo scopo d'impedir loro di tornare nel mondo dei vivi. Il primo passo che muove dal germanico "maska, maglia, rete" verso il significato di "spettro, essere spaventoso" è stato fatto in ambiente germanico, da cui è passato nell'area galloromanza confinante, dove ha prodotto i derivati "mascar" e "mascarar" (con doppio suffisso derivativo); da "mascarare" si è avuto infine il derivato "màscaracon" accento sdrucciolo e la variante fiorentina "màschera" con suffisso "-er-" in corrispondenza del settentrionale "-ar-". Il significato di "annerire, imbrattare" assunto dai verbi "mascar" e "mascarar" si può comprendere all'interno del lessico galloromanzo, dove i discendenti del latino "macŭla" hanno conservato il duplice significato di "maglia" e "macchia"; una volta identificata l'equivalenza, testimoniata dalle glosse, del germanico "maska" col latino "macŭla", al primo sono stati attribuiti tutti i significati del secondo e quindi "maska" ha assunto anche il significato di "macchia", restando vincolato al contesto dei fenomeni soprannaturali. La tesi del germanismo è sostenuta anche da Braccini e Princi Braccini, i quali seguono però un percorso diverso: sulla base del medio olandese "masce, macchia" essi concludono che il germanico "maska" possedeva , come il latino "macŭla", i significati di "maglia della rete" e "macchia", che sarebbero stati trasmessi al galloromanzo". Se siete sopravvissuti alla spiegazione, si aggiunga solo che "mascherìna" risale al XVI secolo e, ben prima dell'uso medico e di protezione attuale, per me aveva un significato carnevalesco e come tutti i bambini l'ho portata anche io nel nome del mai domo Zorro! Poi, da adulto, a parte quando mi era capitato bei finire in sala operatoria con medici e infermieri con mascherina d'ordinanza, capitava di vedere - oggetto di sfottò - turisti giapponesi con la loro mascherina perché raffreddati. Oggi hanno la loro rivincita.