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04 mag 2020

Lo spettro del risentimento

di Luciano Caveri

La retorica delle bandiere alle finestre, dei canti sul balcone, dell'eroismo per tutti, del #celafaremo si scontra con una realtà piuttosto greve, che dimostra come l'epidemia e le sue conseguenze economiche e sociali, accanto al nervosismo da obblighi di legge stringenti e da confinamento domestico, creino una miscela esplosiva. Un panorama cupo, che alimenta un crescente malumore, proteste e incomprensioni, che sono l'esatto opposto di quegli appelli all'unità d'intenti ed al senso di comunità che vengono dispensati in lungo e in largo e risultano poco praticati da chi vuole mettersi in mostra per cavalcare la protesta senza pensare di poter poi essere disarcionato. Bisogna prenderne atto e smetterla con certo buonismo di maniera e darsi da fare per evitare che cattivi sentimenti inquinino il presente e compromettano quella mobilitazione generale per ripartire.

Atteggiamenti populisti di tutti i generi hanno fatto pensare che la spesa pubblica possa coprire ogni problema, abolendo tasse e dando denaro a pioggia senza limiti e confini. Gli aiuti e gli sgravi sono indispensabili e devono essere rapidi ed efficaci contro i rallentamenti di certa burocrazia imbelle, ma bisogna avere idee e progetti per il futuro, altrimenti non se ne esce in una logica di solo assistenzialismo ed è quanto gli imprenditori capaci sanno bene. Ma molti "politicanti", non politici dunque, spingono sull'acceleratore non per il bene comune, bensì per biechi calcoli elettoralistici, giocando sempre al rialzo dei desideri per far vedere che loro sono dalla parte di chi chiede, anche quando chiede la luna. E' una rincorsa suicida, un'asta al rialzo che premia chi non ha senso di responsabilità e cavalca anche proposte che sono impossibili, a condizione che questo serva ad accrescere il proprio consenso personale. Giorni fa, l'ottimo Mattia Feltri, nel frattempo diventato direttore di "Huffpost", indicava nella sua rubrica di prima pagina su "La Stampa" (per fortuna mantenuta), un libro - ripubblicato da "Chiarelettere" - che arriva dal passato. Come spesso capita, questo "Il risentimento" di Max Scheler (1874-1928), filosofo tedesco, illumina la scena di quegli anni particolari a cavallo di due secoli, ma offre messaggi che diventano utili anche per noi in questi nostri tempi incerti e nebulosi. Per altro il libro si capisce bene grazie all'introduzione della filosofa Laura Boella, che non si limita a presentare l'autore ma a proiettare il tema nel dibattito successivo su questo sentimento, il risentimento. Scheler viene definito «un esponente di grande rilievo del movimento fenomenologico» e così illustrato: «Egli riteneva che ogni filosofo avesse una sorta di apriori emozionale: per esempio, quello di Kant era la paura del caos e del disordine, quello di Cartesio la fiera sovranità della canna pensante. La fenomenologia invitava invece a un contatto diretto con le cose, con lo strato qualitativo, unico e irripetibile di ciò che è, e alla conseguente liberazione coraggiosa dall'angoscia e dalla fuga dalla realtà. Il gesto della mano aperta e della mano che mostra ne era l'emblema. In questa luce, i più diversi vissuti spirituali, morali, psicologici e metafisici acquistarono per Scheler un valore essenziale di conoscenza per esperienza della realtà». Poi l'interrogativo: «Che cosa può dire questo scritto a chi vive nell'"età della rabbia" e avverte i numerosi campanelli d'allarme sull'odio e il risentimento che dominano un mondo lacerato da conflitti? Come viene avvicinato oggi il fenomeno del risentimento? Sotto gli occhi di tutti è il fatto che la condizione umana contemporanea viene descritta prevalentemente nei termini di una netta contrapposizione tra emozioni positive (simpatia, empatia, compassione) dotate di valenza prosociale ed emozioni negative (odio, rabbia, risentimento) a cui si imputano la lacerazione dei legami sociali, la violenza e la chiusura nello stretto orizzonte degli interessi del proprio gruppo». Il punto centrale spiegato dalla Boella è questo: «Il risentimento è un'intossicazione dell'anima. Ed ecco il primo spostamento effettuato da Scheler rispetto alle immagini correnti. Emozioni negative come la vendetta, l'odio, la cattiveria, la malignità, l'invidia e la perfidia sono legate al risentimento, ma non si identificano con esso in quanto possono avere esiti ben diversi. Perché il risentimento insorga, decisiva è la rimozione, il mancato sfogo di quelle emozioni negative. Spirito di vendetta, odio, perfidia appartengono alla natura umana, e come tali danno luogo ad atti concreti di aggressione e a espressioni manifeste: alzare il pugno, insultare o altro. La genesi del risentimento è complessa e consiste nella repressione dell'odio, dell'ostilità e dell'aggressività, nel frenare, differire o impedire il loro sfogo e soprattutto nel rovesciare il loro valore: da negative quelle emozioni diventano positive. Il risentimento corrisponde dunque a esperienze d'impotenza, di mancanza di motivazioni precise, di denigrazione del valore di cose e persone, di compiacimento per il male altrui». Il libro analizza a fondo, in una lettura impegnativa, diversi passaggi in un affresco imbevuto di riferimenti e citazioni. Trovo interessante come il risentimento, che emerge in queste ore anche nella piccola Valle d'Aosta, ad esempio verso il mondo della politica, non sua frutto di elementi di causa ed effetto ascrivibili solo al virus e all'economia che si è ammalata anch'essa. Invece ciò è conseguenza anche di un processo di accumulo di rabbia e livore che, come avviene nelle fasi che procedono un'eruzione vulcanica, si sta ora sfogando e se ci saranno eccessi e incapacità di dialogo non solo nulla sarà più come prima, ma non si piloterà neppure con razionalità il necessario cambiamento. E prevarrà una sorta di cannibalismo che genererà confusione e instabilità, quella stessa che Scheler visse da adulto negli anni che prepararono la terribile Prima guerra mondiale, anche se non fece in tempo a vedere gli esiti altrettanto tragici del primo dopoguerra, propedeutici alla ancor peggiore Seconda guerra mondiale. Il risentimento fu nei due casi come benzina sul fuoco.