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27 apr 2020

La ripartenza: patto fra generazioni

di Luciano Caveri

Mi sforzo, senza fare del giovanilismo grottesco, di considerarmi, con i miei 61 anni, un essere umano adulto, ma glissando elegantemente sulla ferale parola "veccho". Non è solo vanità, ma è anche frutto dell'evoluzione del costume, legata ad una maggior possibilità di vita, che ha per fortuna spostato anche la percezione dell'età. Da bambino un sessantenne per me, per essere chiari, era uno che aveva già un piede nella fossa. Di conseguenza mi ha colpito al cuore leggere che il grande esperto, che guida una delle varie task force anti-coronavirus, il coriaceo manager bresciano Vittorio Colao (classe 1961 e non è indifferente...), aveva proposto al Governo per la "fase 2" di ripartenza delle attività di lasciare a casa gli ultrasessantenni perché a maggior rischio di lasciarci le penne in caso di contagio. Opzione respinta dal Governo, ma che resta come possibilità posta sul tavolo.

Si è trattato di una botta all'amor proprio ed anche un senso di vertigine rispetto al rischio di trovarmi a tempo pieno inchiodato al famoso smart working, che oggi pratico tre giorni su cinque. Anche se immagino che per il lavoro che faccio potrebbe esserci qualche deroga, la questione è diventata un bel rovello ed apre una riflessione seria su questo nostro mondo occidentale che invecchia ed in cui è difficile pensare a sessantenni confinati a casa. Ci pensavo rispetto ad una intervista pubblicata su "La Repubblica", che ha fatto scalpore, perché l'intervistato, Giuseppe De Rita, 88 anni, famoso fondatore del "Censis" e turista da sempre della nostra Courmayeur, ha rievocato il secondo dopoguerra. Nel 1945 aveva tredici anni e dice «tutto attorno a noi era macerie», plaudendo a quello spirito che permise un'allora impensabile ripresa che portò l'Italia a diventare quinta potenza mondiale. Tutto ciò, ha spiegato, avvenne senza un aiuto di uno Stato che non c'era e - dicendolo sinteticamente - tirandosi su i pantaloni e con olio di gomito. Mentre oggi in troppi, dice il professore, aspettano solo l'aiuto dello Stato e i suoi bonus. Apriti cielo! De Rita è stato bersagliato di critiche, ma penso che alla sua veneranda età se ne faccia un baffo. Considero questa sua uscita un'estremizzazione e va presa come uno stimolo: il Welfare, lo Stato sociale, ha limiti oggettivi non valicabili e le misure sono una rete di protezione e di stimolo all'economia che funziona solo se gli attori, cioè i cittadini, ci mettono il loro impegno fatto di idee e di lavoro. Mi pare che, per fortuna, la parte parassita sia minoranza. Penso, tuttavia, che sia molto difficile comparare gli anni ruggenti del boom economico con quelli attuali, compresa la questione capitale della demografia. Il "baby boom", di cui io stesso sono figlio, è stato un elemento trascinante di quegli anni pieni di passione e voglia di crescere e di affermarsi. Oggi bisogna fare i conti e posizionarsi rispetto ad una società diversa, fortemente sbilanciata come età media e con nascite in picchiata e la strage nelle strutture per anziani è stato un segno drammatico ed indegno per la gestione che è stata fatta della fragilità di una società così vecchia. Questo per dire che mai come ora la ripartenza ruota attorno ad un patto fra generazioni che voglia dire avere idee chiare e un disegno collettivo di ripartenza con progetti chiari e anche una messa in sicurezza nel tempo che ci aspetta prima di avere il vaccino. Con in più la consapevolezza che con i batteri che si abituano agli antibiotici ed i virus aggressivi che spuntano ogni tanto bisognerà stare sempre sul chi vive, come se malattie cardiovascolari e tumori ci lasciassero tranquilli.