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26 apr 2020

Non basta il #celafaremo

di Luciano Caveri

Un crescente nervosismo, personale e collettivo, si sta impadronendo di noi. Inutile negare un senso di ansia per una vita privata stravolta nelle abitudini cui eravamo tutti legati. Oltretutto il bombardamento di notizie cui ci siamo sottoposti per capire gli eventi presenti e futuri non ha aiutato e l'esasperazione emerge spesso dalle comunicazioni istituzionali contraddittorie e poco spiegate a chi dovrebbe subirle. Anche chi normalmente non si interessa della "cosa pubblica" avverte una sorta di sospensione della democrazia è questo ingenerare preoccupazione anche in chi si è comportato disciplinatamente di fronte a misure eccezionali di privazione di libertà. Ma ora ci si chiede, a metà fra una crisi sanitaria che ancora persiste benché declinante è una ripartenza che deve avvenire per evitare crack economico e crollo psicologico, se chi di dovere abbia il quadro della situazione e sappia cosa fare. Con una certezza che manifesto: una pandemia ci obbliga a seguire le indicazioni di scienziati ed esperti, ma spetta poi alle istituzioni democratiche, compreso lo scenario, decidere il da farsi.

Piano piano si sta esaurendo quella carica di ottimismo del "ce la faremo" che serviva ad alimentare una reazione alle difficoltà, ma dev'essere seguita da certezze su regole e comportamenti, altrimenti si resta troppi sulla corda con la sgradevole impressione che manchino conduttori dalla mano ferma e questo rischia di svuotare la riserva di fiducia. Scriveva in questi giorni, rispondendo ad un lettore, Luciano Fontana, direttore del "Corriere della Sera": «La fiducia deve però basarsi prima di tutto sui dati di fatto e non sulle illusioni. L'illusione, ad esempio, che questa sia stata una crisi come tante altre, che in fondo abbiamo esagerato nelle paure e nelle reazioni. Un'emergenza così non l'abbiamo mai vissuta, dal punto di vista individuale, sociale ed economico, dalla seconda guerra mondiale. Le immagini delle bare portate via dai camion dell'Esercito, i bollettini che ci raccontano del numero di civili morti a Milano cinque volte più alto di quello della guerra stanno lì a ricordarci un'emergenza drammatica. L'impreparazione, l'improvvisazione e gli errori compiuti dalle classi dirigenti nazionali e locali sono un altro elemento di ansia e di preoccupazione: come sarà gestita la lunga fase in cui dovremo tornare alle nostre vite e al lavoro convivendo con un virus che ci accompagnerà fino alla scoperta di una cura o di un vaccino?». Anche a me questo preoccupa e non perché abbia una visione catastrofista o anti-sistema, ma semplicemente perché vedo troppe chiacchiere e tempi di reazione biblici nei decisori, che devono dire le verità ai cittadini e non trattarli come pedine da manovrare su di una scacchiera. Ancora Fontana: «Guardare in faccia la realtà è una buona medicina per individuare quali sono le cose che possono darci speranza. Intanto abbiamo affrontato, quasi tutti e con rare eccezioni, disciplinatamente questa prova. Non era scontato. Ora la stessa serietà credo sapremo averla nella ripartenza per evitare di tornare nell'incubo della diffusione del virus. Abbiamo poi capito quanto siano importanti scienza e competenza; sono sicuro che in tempi brevi i nostri esperti sapranno trovare una cura per la malattia come hanno fatto per tantissime altre. Gli sbagli compiuti ci stanno facendo riflettere su come si debba riorganizzare un sistema sanitario con i suoi punti di forza non solo negli ospedali d'eccellenza ma anche nel territorio. Sono spariti dalla circolazione i combattenti "no-vax" così come i cultori dell'incompetenza. Magari sono nascosti da qualche parte ma la lezione sono certo toglierà loro ogni seguito. E impedirà che la guida dello Stato finisca nelle loro mani. Infine ho una fiducia enorme nella capacità degli italiani di dare il meglio di sé nelle difficoltà, con energia, sacrificio e creatività. Non so se basti tutto questo a farci avere serenità ma sono buoni punti di partenza». Non so se si può condividere sino in fondo questa chiusura così speranzosa. Esiste sia un rischio di retorica, dimenticando le differenze che esistono nelle diverse "Italie" che compongono l'Italia, specie a livello di civismo e rispetto del Diritto. Si fa finta che ci sia un'eguaglianza di comportamenti, mentre le differenze spesso arricchiscono, talvolta dividono. Così come temo si debba tenere alta la guardia su complottisti e diffusori di menzogne perché burattini o solo stupidi. Sono in parecchi gruppi su "WhatsApp" e constato come continuino ad esserci, quasi sempre in buona fede, altoparlanti di stupidaggini, spesso pericolose. Questo resta uno dei limiti più grandi del Web, dove - senza invocare chissà quali censure o tribunale d'inquisizione - i "cattivi" vanno ammoniti e poi banditi, sempre che non ci si trovi di fronte a reati veri e propri.