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21 apr 2020

Confrontarsi sul "covid-19": alcuni pensieri di Žižek

di Luciano Caveri

E' ben noto che sul Web siamo ispezionati in tutti gli angoli e addirittura certi "social" tendono a farci incontrare solo persone che la pensano come noi e ad inviarci messaggi che assecondano e non contraddicono il nostro modo di pensare. Per quanto io sia abbastanza convinto delle cose che penso, mi ritengo in grado di discutere con chi abbia visioni del tutto diverse dalle mie e mi capita anche, pensando che sia una dote, di cambiare idea, se trovo delle motivazioni che mi convincono. Dunque non mi snervo nel contraddittorio in sé, anzi mi piace lo stimolo intellettuale e la ricerca di buoni argomenti che ne deriva, ma dell'abuso che talvolta subisco quando mi capita di discutere con chi non conosce l'argomento di cui si parla e sostiene tesi, di conseguenza, non supportate. Ciò avviene sempre di più con l'infarinatura da Internet, in cui basta una sbirciata sul Web per diventare "premio Nobel" in qualunque materia.

In questo periodo leggo molto sul Virus, non tanto degli aspetti scientifici che pure mi interessano ma non ho il background che mi consenta di affrontare troppo in profondità, pur ritenendo essenziale informarsi per quanto possibile, quanto invece per gli aspetto vari che ne derivano. Dalle ricadute economiche a quelle sociali, da quelle psicologiche a quelle tecnologiche e via di questo passo nella miriade di ricadute possibili. Tornando al discorsetto iniziale, mi ha incuriosito l'insieme di articoli, diventati un instant book in progress, intitolato "Virus: Catastrofe e solidarietà" del filosofo e politologo sloveno Slavoj Žižek, pensatore molto à la page che apprezzo molto per la sua acutezza di analisi, pur non concordando con la radice anticapitalista militante e con la speranza per il futuro che lui, in chiave rinnovata, chiama «comunismo» (per me il termine non è più adoperabile come utopia speranzosa). Ma è un caso in cui la dialettica a distanza si dimostra fruttuosa. Vorrei lasciarvi qualche suo pensiero, che a me è servito come stimolo. Il primo: «Hegel scrisse che dalla storia impariamo solo che non impariamo niente dalla storia, quindi dubito che l'epidemia ci renderà più saggi. L'unica cosa chiara è che demolirà i fondamenti della nostra vita, determinando non solo immenso dolore ma anche uno sconquasso economico probabilmente peggiore della Grande Recessione». Temo anche io questa possibilità. Altro spunto: «Le epidemie virali ci rammentano la contingenza ultima e l'insensatezza della vita: per quanto spettacolari possano essere gli edifici spirituali che noi, il genere umano, fondiamo, una stupida contingenza naturale come un virus o un asteroide può decretarne la fine... per non citare la lezione dell'ecologia, ossia che noi umani, senza nemmeno rendercene conto, possiamo contribuire a questa fine». Aggiungo ancora: «La cosa davvero difficile da accettare è il fatto che l'epidemia in corso sia il risultato di una contingenza naturale allo stato puro, che sia semplicemente avvenuta e non celi nessun significato riposto». Chi vede punizioni millenaristiche misticheggianti, si faccia furbo. Questo passaggio fra serietà e ironia fa pensare: «Disse Martin Luther King più di mezzo secolo fa: "Possiamo essere giunti qui con navi diverse, ma ora siamo tutti sulla stessa barca". Se non cominciamo a comportarci di conseguenza, potremmo finire tutti su una barca chiamata "Diamond Princess" (la nave tenuta in quarantena su cui è esplosa l'epidemia)». Questa frase, invece, vale assolutamente per il mio rapporto attuale con una serie di scelte qui in Valle d'Aosta che non condivido: «Secondo lo storico Carlo Ginzburg la vergogna per il proprio paese, e non l'amore, è la vera dimostrazione di appartenenza». Da scolpire sulla roccia a Bard! Aggiungo in sequenza: «L'aspetto centrale su cui riflettere è il triste fatto che occorre una catastrofe perché impariamo a ripensare le più elementari caratteristiche della società in cui viviamo». Poi: «Per questa ragione, possiamo aspettarci che l'epidemia virale influenzerà le interazioni più elementari con le altre persone e con gli oggetti che ci circondano, compreso il nostro corpo: evitare di toccare le cose che potrebbero essere (invisibilmente) "sporche", non toccare le maniglie, non sedersi sulle tazze dei bagni pubblici o sulle panchine negli spazi pubblici, evitare di abbracciarsi e stringersi la mano... e persino prestare attenzione a controllare il corpo, i gesti spontanei: non toccarsi il naso o strofinarsi gli occhi, insomma, non trastullarsi con il proprio corpo. Allora a controllarci non saranno solo lo Stato o altri agenti, dovremo imparare, noi, a controllare e a disciplinare noi stessi! Forse, soltanto la realtà virtuale sarà considerata sicura, e muoversi liberamente all'aperto sarà riservato alle isole di proprietà dei ricconi». E ancora: «La trappola è che, persino quando la normalità infine avrà ripreso il suo corso, non sarà la stessa a cui eravamo abituati fino allo scoppio dell'epidemia: non si potranno dare per scontate tutte quelle abitudini che scandivano la vita di ogni giorno, dovremo imparare a vivere una vita molto più fragile e sotto costante minaccia. Dovremo stravolgere completamente l'atteggiamento verso la vita, verso un'esistenza da condurre come esseri viventi tra altre forme di vita. in altre parole, se con "filosofia" intendiamo l'orientamento fondamentale nella vita, dovremo allora sperimentare una vera rivoluzione filosofica». Ottima anche l'idea di riflettere sul "covid-19": «i virus non sono né vivi né morti nel senso comune della parola, sono una sorta di morti viventi. Un virus è vivo grazie all'impulso a replicarsi, ma si tratta di una sorta di vita al livello zero, una caricatura biologica non tanto della pulsione di morte quanto della vita colta nella stupidità apicale della ripetizione e moltiplicazione. Eppure, i virus non rappresentano la forma elementare della vita da cui si sarebbero poi sviluppate forme più complesse; sono parassiti allo stato puro, si replicano infettando organismi più evoluti (quando un virus ci infetta, usa noi umani come mere fotocopiatrici). E' in questa coincidenza di opposti - una natura elementare e parassitaria - che risiede il mistero dei virus: rappresentano un esempio di quello che Schelling chiamava "der nie aufhebbare Rest": un resto mai superabile, il resto della forma di vita più bassa che si manifesta come prodotto del malfunzionamento di meccanismi di moltiplicazione superiori e continua a tormentarli (infettarli), un resto che non potrà mai essere re-incorporato nel momento subordinato di uno stadio di vita superiore». Poi quest'altra affermazione: «La crisi innescata dal "coronavirus" è una sorta di "prova generale" in vista del cambiamento climatico imminente, la prossima crisi, quella in cui il riorientamento delle condizioni di vita si porrà a tutti quanti e per ogni aspetto dell'esistenza quotidiana che dovremo imparare a considerare in modo accurato». Più che fare gli scongiuri, il climate change prevede azioni e prevenzione. Infine un ragionamento che mi rode: «Davvero l'unica scelta che abbiamo è tra il controllo totale sul modello cinese e il metodo più permissivo della "immunità di gregge"? Bisogna prendere decisioni difficili che non possono essere fondate solo sul sapere scientifico. E' facile mettere in guardia sul fatto che l'epidemia è una scusa con cui il potere statale impone una situazione di emergenza permanente, ma quale alternativa propongono quanti diffondono questi avvertimenti?». Resta inteso e condivido il ruolo della Politica, che non è sostituibile, nel bene e nel male, ma non so se alcuni politici sia degni della sfida.