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18 apr 2020

Fra tempo perduto e tempo ritrovato

di Luciano Caveri

Guardo dal balcone - tipo "ora d'aria" in galera - questa paradossale primavera e mi si affolla la testa di pensieri e di idee, che spero non appaiano bislacche o uno scherzo degli eccessi da "buen retiro". Ci vorrebbe la penna di un Marcel Proust per descrivere quanto in queste settimane tese ed assieme oziose abbiano pesato nel gioco dei ricordi, e vien voglia di riflettere sui suoi "temps perdu" e "temps retrouvé". Già, questo periodo serve più di quel che si possa pensare. Da una parte - confesso volentieri - esiste un aspetto nostalgico, legato a quanto non possiamo avere in un momento di forte messa in gioco delle nostre libertà fondamentali. Sono legittimamente in tanti, e non solo costituzionalisti, politologici e filosofi, al capezzale di questa nostra strana vita militarizzata e sbarrata dal contagio come metafora di un Nemico che ci imprigiona e ci priva di fondamentali diritti civili.

E chiunque pensi alla spensieratezza dei propri spostamenti, alla cura dei propri cari, al calore delle proprie amicizie, a gesti banali della quotidianità spazzati via da un giorno all'altro non può che pensare ad un tempo perduto, che nel ricordo diventa più prezioso di quanto mai lo avessimo potuto pensare. Ma esiste poi, nel mondo parallelo che possono creare certi pensieri, anche il tempo ritrovato, che certo significa rileggere con maggior attenzione quanto vissuto, ma - compattando passato, presente e futuro - ci proietta verso un tempo ritrovato, fatto di propositi e novità per la nostra esistenza che verrà, quando (chissà quando) finirà questa situazione ed i suoi strascichi. Forse una certa riprogettazione di noi stessi si dimostrerà salutare, quando tutto quel che noi davano per scontato e acquisito è sparito, non per sempre, ma ha dimostrato la propria fragilità e fuggevolezza. Ricordate nel celebre libro dell'ambiguo Lewis Carrol: "Alice: «Per quanto tempo è per sempre?» Bianconiglio: «A volte, solo un secondo»”. Oppure una pensosa Elsa Morante: «Il tempo - che gli uomini tentano di domare con gli orologi, fino a renderlo un automa - è per se stesso di natura vaga, imprevedibile e multiforme, tale che ognuno dei suoi punti può assumere la misura dell'atomo o dell'infinito». I latini nelle loro massime avevano detto tutto. Al famoso «Carpe diem» («Cogli l'attimo») di Orazio si aggiunge dello stesso autore il più complesso e completo: «Dum loquimur fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero» («Mentre si parla, il tempo è già in fuga, come se ci odiasse. Quindi cogli l'attimo, non credere al domani»). Ma sono noti anche questi detti: «Tempus fugit» («Il tempo fugge»). E ancora: «Qui tempus praestolatur, tempus ei deest». («Chi ha tempo non aspetti tempo»). Cui si può aggiungere: «Tempora mutantur, nos et mutamur in illis». («I tempi cambiano e noi con loro»). Avremo modo, almeno spero, di riflettere dopo la tempesta e lo ricorda sempre quella prossima esemplare del grande Giacomo Leopardi, che suona già di una pace che vorremmo tutti ritrovare nella scoperta della sfera più intima dei luoghi e degli affetti. «Passata è la tempesta: Odo augelli far festa, e la gallina, Tornata in su la via, Che ripete il suo verso. Ecco il sereno Rompe là da ponente, alla montagna; Sgombrasi la campagna, E chiaro nella valle il fiume appare. Ogni cor si rallegra, in ogni lato Risorge il romorio Torna il lavoro usato». Ma la frase più bella, adatta al ricordo che avremo delle persone perse per anno del virus e direi anche come sentiment della tragedia collettiva che stiamo vivendo, è nel romanzo struggente di Mario Escobar “La ninnananna di Auschwitz” con questa frase che fa pensare: «Il tempo, con il suo insaziabile appetito, divora sempre i ricordi e i visi delle persone amate, solo la memoria li trattiene con la sofferenza delle lacrime e il sospiro doloroso dell'amore».