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14 apr 2020

Dallo "smart working" al "food delivery"

di Luciano Caveri

Nuove forzate abitudini si impossessano della nostra vita nella dimensione domestica, diventata prevalente per sfuggire alla tagliola insidiosa del "coronavirus". Alcune di queste sono destinate ad accelerare processi che già esistevano, trascinandosi stancamente nella categoria delle innovazioni che prima o poi si sarebbero affermate. Ma, si sa, esiste in Italia quel côté fatalistico e levantino, che personalmente aborrisco, che spinge a cambiamenti graduali e mai completati che solo situazioni da choc spingono nella giusta direzione. Penso alle potenzialità, in cui ho personalmente ho sempre creduto in un clima di sospettoso, del "telelavoro", oggi reso più... "agile" dall'impiego dell'anglicismo "smart working", che esprime un lavoro a distanza meno rigido.

Mi ci sono ritrovato anch'io in parte e mi conferma come, grazie ai collegamenti digitali, molta parte del lavoro non obbliga a stare in ufficio e molti pregiudizi su questa modalità verranno spazzati via da queste settimane di sperimentazione obbligata. Ho sempre pensato che in Valle d'Aosta ci sia troppa mobilità pendolare per andare e venire dal lavoro e che la logica di accentramento di molti lavori su Aosta abbia spinto molti a spostarsi anche definitivamente nella cosiddetta "Plaine" a detrimento dei paesi di origine, specie nelle vallate. Formule di lavoro domestico o anche in ambienti come potrebbero essere i Municipi potrebbero ripopolare Comuni montani che sono ormai al collasso demografico e che rischiamo prima o poi si sparire per mancanza di abitanti e alcuni sono già al limite. Altra scoperta che cambierà le nostre abitudini e apre nuove porte all'economia è - riecco l'inglese - è il "delivery food" nelle sue diverse espressioni. Si parte, in questi tempi di confini, dal rafforzamento delle consegne a domicilio di generi alimentari ed è noto che c'è ancora molto da fare sulle piattaforme on line per le prenotazioni, che vanno dai supermercati a produttori agricoli ingegnosi. Vi è poi la consegna di prodotti cucinati, che penso avranno un boom negli anni a venire, premiando chi decide di provarci, al di là delle pizzerie che già da anni fanno consegne a domicilio. Segnalo, nel mio buen retiro causato dal perfido virus, la consegna giunta a buon fine nella mia casa di Saint-Vincent del "Birrificio '63" di Piazza Caveri ad Aosta con birre artigianali ed hamburger, così come il pranzo di Pasqua che arriverà dal "Vecchio Ristoro" sempre di Aosta (ma la colomba è stata portata a casa dalla pasticceria "Golose Emozioni" di Arnad), mentre alle nonne, che abitano a Verrès, abbiamo regalo il pranzo pasquale portato da "Napoléon" di Montjovet e sabato prossimo da noi serata casalinga giapponese con "Mama" dei fratelli Ansaldo. Insomma, ci si ingegna per avere qualche sussulto di mondanità, che si affianchi agli "aperivideo" con amici vicini e lontani, usando le diverse piattaforme testate nell'occasione con i propri pro e i propri contro. Ho sempre predicato, già tanti anni fa, le potenzialità delle videoconferenze come modalità utile per lavorare e confrontarsi, ma anche l'uso ludico di questi giorni è apprezzabile segno di socialità. Infine gli ordini dai corrieri attraverso fornitori su cui spicca sempre "Amazon". Trovo che questa formula di acquisti dev'essere maggiormente cavalcata dalle varie forme di commercio locale e la fornitura a casa non debba essere solo, nelle varie espressioni merceologiche, espressione dei grandi colossi mondiali, ma anche una chance per vivere dei negozi di prossimità. Tutto quel che capita di questi tempi sarà una sterzata a modelli e abitudini.