Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
17 mar 2020

Caro papà, ora tocca a noi

di Luciano Caveri

Caro papà, in queste ore ti ha raggiunto in Paradiso un tuo amico di Valtournenche, il dottor Oreste Maquignaz, che ho incontrato non molto tempo fa. Avevamo nell'occasione evocato le visite nel suo studio di ortopedico al Breuil-Cervinia per il mio primo gesso alla gamba da bambino e poi il legamento crociato e il menisco con successivo consulto con un altro vostro amico comune, Giorgio Vassoney, grande chirurgo ortopedico alla clinica "Pinna Pintor" di Torino. Proprio lui ti pagò il biglietto del treno da Ivrea ad Aosta, quando lo incontrasti per caso alla fine dalla tua avventurosa fuga dal campo di concentramento nazista nella primavera del 1945. Con Oreste ci eravamo fatti un sacco di risate a ricordarti da vivo con il tuo spirito scherzoso che accompagnavi ad un'esemplare attività professionale, esattamente come la sua: una schiatta di professionisti sino ad età avanzatissima, tu per gli animali da buon veterinario, e lui per gli umani, specie sciatori e alpinisti.

Entrambi eravate ragazzi nati negli anni Venti e avete con passo deciso attraversato il Novecento, traguardando il nuovo Millennio e vivendo storie che per noi bambini erano racconti che apparivano distanti e quasi leggendari. Il caso vuole che a morire in queste stesse ore sia stato un altro vostro coetaneo: quel Davide David (che visse il dramma della perdita del figlio, Leonardo), walser sino al midollo e grande amico di un'altra persona scomparsa che ho sempre nel cuore, mio zio Ulrico Masini, veterinario e capo partigiano di "Giustizia e Libertà". Perché ti penso e vi penso? Non solo perché vi ho voluto bene, ma perché siete stati la generazione che ci ha visto crescere in quegli anni pieni di speranze e di entusiasmo del secondo dopoguerra e ci ha insegnato tante cose in un'epoca che sorrideva al futuro, ma anche ora noi siamo chiamati, come generazione, ad una prova nuova e difficile che voi e i vostri genitori ben conoscevano e noi ne eravamo sinora rimasti immuni. Già, caro papà, noi la guerra non l'abbiamo mai vissuta con il suo bagaglio di esperienze che segnano per sempre. In voi, come nei nostri nonni, c'erano ferite mai del tutto rimarginate: certe paure avute, dolori lancinanti vissuti, privazioni materiali e morali conosciute, che non vi avevano impedito di vivere gli anni del boom economico, dopo il buio del periodo bellico e della dittatura. Noi siamo nati fuori dagli orrori che vi avevano forgiato e vi avevano resi come delle rocce in grado di proteggerci, malgrado certi fantasmi che vi portavate dietro. Momenti oscuri che avevano reso la vostra vita da giovani incerta e grama e da quello, con amore, ci volevate proteggere. Ora la Storia ci assegna di fronte all'epidemia di "coronavirus" la nostra parte di timori e angosce, in una logica collettiva e non solo di dramma personale, come poteva sempre avvenire nella vita quotidiana di ciascuno. No, papà, questa volta le circostanze somigliano ad una sorta di guerra come quella che hai portato con te come uno zaino di inquietudini sulla schiena per tutta la vita e che noi ora ci troviamo ad affrontare non con nemici in divisa, eserciti e armi, ma contro un infinitesimale virus che si espande. Per farlo uccide molte persone in una catena che da epidemia si è fatta pandemia proprio come una sorta di conflitto mondiale. Così ci troviamo - mutatis mutandis e dunque con le differenze del caso - anche noi, enfants gâtés grazie alla vita che ci avete fatto vivere, ad affrontare una prova che sarà più dura di quanto si pensasse all'inizio e che ci segnerà e che i nostri figli, dopo di noi, ricorderanno. Da voi, dai vostri insegnamenti di cui siamo frutto e dalle nostre stesse esperienze di vita, dobbiamo ricavare la forza e le energie per uscire da questa situazione con l'aiuto della Scienza e di una disciplina che ci viene imposta come precondizione per limitare l'espansione della malattia. Ci vogliono determinazione, coraggio e senso del dovere. Ora tocca a noi dimostrare di essere degni eredi e in grado di lasciare anche noi un esempio ai nostri figli. Con amore.