Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
25 feb 2020

La disinformazione come un virus

di Luciano Caveri

Ormai è evidente che siamo tutti esperti di "coronavirus" e problematiche annesse e connesse. In mezzo alla folla carnevalesca, bastava drizzare le orecchie e ritrovavi spiegazioni e analisi degne del virologo più accademico. Ma, a fare ancora più attenzione, potevi anche nelle discussioni ritrovare tutta una serie di elementi antiscientifici, irrazionali e complottistici che segnano questi tempi fra disinformazione e superstizione, un mix micidiale. Ecco perché ho apprezzato molto, nella miriade di commenti sul virus che si sta diffondendo e che minaccia anche la Valle d'Aosta, un pacatissimo articolo di Gianmario Verona, Rettore dell'Università "Bocconi", che fa l'economista e dunque fa un discorso di principio e di metodo che non fa una grinza. Così osserva in un editoriale su "La Stampa": «Che cosa ci insegna il Covid-19 e in particolare il suo arrivo in Italia? Che siamo fragili e incapaci di far prevalere il pensiero critico di fronte all'immensità delle informazioni, più o meno corrette, che ci bombardano da ogni device e ogni social network nel secolo digitale. Nonostante viviamo nel paese che ha dato i natali a Galileo e Leonardo e che è stato al cuore dell'Età Moderna, da cui si è diramato l'Illuminismo, la scienza nel 2020 fa ancora fatica a imporsi a vantaggio di un misto tra fake news, polemiche e naturali paure. E a fronte di nuovi nemici che si affacciano improvvisamente e inaspettatamente nella società globale».

«Per carità, se Atene piange, Sparta non ride, come è evidente dalla situazione convulsa a livello internazionale nei paesi (già) colpiti dal virus - continua Verona - Ma nel nostro, a livello comparativo, si sta esacerbando una situazione ancora più netta. E questo non è una sorpresa. Durante i mondiali di calcio, siamo il paese con 60 milioni di allenatori e quando si tratta di salute diventiamo improvvisamente tutti medici (come ha asserito il professor Burioni in uno dei pochi video saggi "basta un esame di virologia al secondo anno di medicina", ma ci sarebbe da aggiungere anche senza quello…). E quando la salute impatta la polis, diventiamo anche sindaci e presidenti del consiglio. Ma cercare di far prevalere la ragione alle ansie e al panico aiuterebbe certamente a rasserenare gli animi. In questi giorni convulsi i richiami a razionalità e fiducia nella scienza si stratificano uno sull'altro tanto quanto le indicazioni di lavarsi le mani e coprirsi la bocca quando si tossisce. Ma se queste ultime attecchiscono rapidamente (certamente almeno fino alla conclusione della crisi), più difficile è radicare nelle menti (e nei cuori) di ciascuno di noi pensiero critico, razionalità e fiducia nella scienza». L'analisi è del tutto condivisibile e coglie nel segno di questa confusione, spesso persino mentale, che alimenta preoccupazioni, raccontando storie e dando credito a invenzioni vere e proprie, che inquinano anche le menti più illuminate. Prosegue Gianmario Verona: «E invece sono proprio momenti tragici come questi in cui ci si dovrebbe accorgere quanto scuola, università e politica abbiano finora fallito nella missione di fornire ai cittadini gli strumenti della logica su cui costruire la fiducia nelle competenze e nella scienza. Viviamo in un mondo altamente complesso in quanto interconnesso culturalmente ed economicamente e in cui non solo le opportunità, ma anche i problemi aumenteranno esponenzialmente negli anni a venire. Per affrontarli con competenza e serenità sarà fondamentale aprire le menti dei cittadini del futuro con una sana ragione. Questa missione insieme a una volontà di divulgazione e comprensione della scienza vanno recuperate. Per farlo occorre rafforzare i programmi didattici di ogni ordine e grado, va recuperato quel valore educativo che una volta avevano i programmi dell'accesso della tv pubblica, ma secondo le nuove logiche e i nuovi strumenti del digitale. L'università, indipendentemente dalle rigide gabbie che definiscono i crediti formativi, deve consentire l'inserimento di nuovi corsi sulla filosofia applicata e il pensiero critico. E la scuola dovrebbe aiutare la generazione Alfa (i nati dopo il 2010), visto che con la Zeta la battaglia è stata già perduta, a recuperare questa tradizione di cui ci siamo dimenticati». Ed invece - posso dirlo? - ma pare proprio che fra giovani e giovanissimi si affermi troppo spesso quel nozionismo fasullo da "social", dove il tam tam propone spesso baggianate che deformano la realtà e si propagano, come il virus.