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11 feb 2020

Contro la "bêtise" in Politica

di Luciano Caveri

«La bêtise a ceci de terrible qu'elle peut ressembler à la plus profonde sagesse» - scriveva Valery Larbaud. Questo scrittore francese dalla vita sfortunata dice qualcosa di molto vero e su cui sarebbe bene riflettere con pacatezza. Lo preciso perché penso anzitutto che il dialogo politico, e direi persino la vita quotidiana, dovrebbero tornare a elementari valori di rispetto reciproco. Troppi toni accesi e linguaggi inopportuni avvelenano la civile convivenza ed i comportamenti violenti sono spesso la conseguenza naturale di una escalation che va fermata nel nome del civismo e del buonsenso. Non per buonismo astratto, ma per imporre ordine e educazione nei comportamenti per una sorta di salute pubblica. Oggi si capisce il danno fatto dagli eccessi di antipolitica, compreso l'antiparlamentarismo, quando la generalizzazione giacobina e l'odio cieco hanno finito non per travolgere i cattivi ed i delinquenti, ma hanno finito per intaccare la sostanza delle Istituzioni.

Finalmente sul fenomeno "grillino" l'opinione pubblica (ma non i dirigenti del Partito Democratico!) incomincia ad aprire gli occhi, dopo aver dato credito a chi voleva cambiare il mondo con il motto già indicativo del «Vaffanculo». La Politica, se diventa solo spettacolo e semplice comunicazione senza profondità culturale e distante dai fatti concreti e dalla soluzione dei problemi, si deforma e perde la sua sostanza. Oltre ad abbrutire chi deve attirare su di sé disperatamente le attenzioni degli elettori, che smettono per lui di essere dei cittadini da rappresentare degnamente, diventando solo buoni per infilare la scheda nell'urna. E per farlo c'è chi non ha scrupoli e l'uso dei "social" - preziosi strumenti di comunicazione di massa - fatto con malizia e cattiveria travolge tutto e tutti senza ritegno e per disegni che si avvicinano ad idee autoritarie. Proprio in questi giorni si sono ricordati i settant'anni dalla morte per tubercolosi - aveva solo 47 anni - di quel George Orwell, che vide le ombre dei totalitarismi e fu preveggente. Basta leggere il suo "1984" per cadere in un mondo popolato da teleschermi, che vengono usati per diffondere gli slogan di partito e questi strumenti servono anche per un controllo occhiuto di azioni, emozioni e, soprattutto, pensieri dei cittadini. Orwell non poteva certo immaginare il Web, che ormai ci conosce e ci campiona in modo inquietante, e sarebbe stupito di vedere che c'è chi pensa ad una democrazia digitale da "Grande Fratello" che trasforma il cittadino in marionetta, convincendolo del contrario! Quando la politica spinge non più sulle azioni da svolgere e sull'attività corrente ma sulle elezioni che verranno, il voto diventa la sola bussola: bisogna piacere, piacere, piacere e cercare popolarità costi quel che costi. A detrimento di una elementare ovvietà: che nel nome del famoso "bene comune" ogni tanto bisogna operare scelte che possono apparire controcorrente. Osserva il politologo Angelo Panebianco: «La politica democratica è strutturalmente vincolata a un orizzonte di breve periodo. La natura del sistema democratico spinge gli uomini politici ad occuparsi solo dei problemi che agitano il presente. Le altre grane, quelle che già si intravedono ma che ci arriveranno addosso solo domani o dopodomani non possono essere prese in considerazione. A differenza di ciò che fa la migliore medicina, la politica democratica non si occupa di prevenzione». Questo sguardo così ridotto, che si occupa del presente e del contingente, dimentica per convenienza di guardare più avanti al futuro che verrà, finisce per essere un peso e una condanna in particolare per le generazioni successive. Se le questioni nevralgiche sono rinviate e si impone la "non decisione" per non risultare sgraditi siamo mal messi, l'esito è letale. Torno al finto saggio della frase iniziale: quello che, per emergere, attizza polemiche, aggredisce gli avversari politici, cerca elementi scandalistici, vive nella fibrillazione più di apparire che essere. Specie se il ruolo elettivo è l'unica sua fonte di sostentamento e mantenere quel cadreghino significa non ripiombare nella vita senza sbocchi. I parolai sono sempre esistiti. Ammoniva Platone dalla profondità della storia greca: «In politica presumiamo che tutti coloro i quali sanno conquistarsi i voti, sappiano anche amministrare uno Stato o una città. Quando siamo ammalati chiamiamo un medico provetto, che dia garanzia di una preparazione specifica e di competenza tecnica. Non ci fidiamo del medico più bello o più eloquente». Per dire che certe malattie e storture ci sono dalle origini della democrazia, ma oggi vediamo il fenomeno diffondersi, e trionfa l'effimero.