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10 gen 2020

Venti di guerra, televisione e democrazia in crisi

di Luciano Caveri

Sappiamo bene come i "social" influenzino l'elettorato nel formarsi delle opinioni, visto che raggiungono una vasta popolazione, battendo i giornali cartacei, che in Italia scendono in picchiata mese dopo mese. Quel che è utile tenere a mente è come la nostra profilazione - cioè qualunque cosa ci riguardi come persona e come consumatore - consenta ai "social network" di capire anche le nostre tendenze politiche e perciò i famosi algoritmi ci spingono nelle braccia delle persone e delle notizie che rafforzano le nostre convinzioni, evitando le ragioni diverse altrui. Strumenti sofisticati di "distrazione di massa" spingono poi quelle "fake news" che influenzano come barchette di carta al vento le convinzioni di una parte molto larga degli elettori con vere e proprie manipolazioni, dimostratesi ormai come decisive in elezioni già avvenute.

Ci riflettevo in questi giorni, pensando al fatto che il 3 Novembre 2020 ci saranno le prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America, quegli "Stati Uniti", ed il tema mai come ora è attuale per via della crisi in corso con l'Iran con venti di guerra che preoccupano e che possono avere una connessione anche con le elezioni in arrivo, con una lunga rincorsa. In questo quadro fosco, non è indifferente chi verrà eletto come 46esimo Presidente USA con un meccanismo d'elezione assai complicato. Emerge ormai un possibile scontro fra il già certo Donald Trump ed il magnate della finanza e della televisione Michael Bloomberg, che potrebbe correre per i democratici e già si prepara sul decisivo terreno mediatico. Per essere candidati negli Stati Uniti sembra ormai d'obbligo essere miliardari e legati al mondo della comunicazione di massa. Ma è interessante constatare la forza persistente della televisione, che raggiunge anche fasce di popolazione che non usano il Web e lo dimostra un bel prodotto televisivo che ho visto durante le vacanze natalizie. Traggo da "Coming Soon": «"The Loudest Voice" ("La voce del più forte") è una miniserie di "Showtime" incentrata sull'ascesa e la caduta del fondatore di "Fox News" Roger Ailes. Basato sulla biografia "The Loudest Voice in the Room" di Gabriel Sherman, il dramma segue un irriconoscibile Russell Crowe nei panni del famigerato creatore del format d'informazione che nell'arco di vent'anni è diventato un'istituzione per il pubblico ed i politici conservatori, ma soprattutto un'arma segreta per la propaganda del partito repubblicano ed i suoi candidati. Il suo impero da un miliardo di dollari all'anno è crollato in soli quindici giorni, quando più di venti donne lo hanno pubblicamente accusato di molestie sessuali, portando alla luce una lunga storia di misoginia, ripicche, corruzione, calunnie e mazzette». E' uno spaccato molto interessante dell'America, che - non a caso a pochi mesi dalle elezioni presidenziali - racconta di come nella storia di questo personaggio ci sia stata una delle chiavi della salita clamorosa alla Casa Bianca di Donald Trump. Dato per perdente, con mio assoluto stupore, il discusso tycoon vinse cinque anni fa, gettando un'ombra sulla democrazia americana finita nelle mani di un demagogo senza basi culturali necessarie per un ruolo del genere. La serie televisiva svela una parte dei meccanismi di dileggio e di influenza creati dalla "Fox", scompaginando regole auree del giornalismo americano con un giornalismo spregiudicato e schieratissimo. C'è poco da stare allegri se anche l'antica democrazia americana è finita in una situazione fluida foriera di guai, visto il ruolo di questa superpotenza negli equilibri internazionali ed i fatti di queste ore, in cui il mondo trema anche per la mancanza di meccanismi di raffreddamento e di Nazioni Unite credibili e autorevoli.