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13 gen 2020

Sanremo e Rita Pavone

di Luciano Caveri

Fa abbastanza impressione che ancora prima della Befana e dei primi vagiti del Carnevale i giornali inizino a scaldare i motori sul "Festival di Sanremo". Eppure questo caposaldo della Canzone resta il solo sopravvissuto dell'epoca pionieristica della televisione in bianco e nero ed ha seppellito, fra gli altri, l'altrettanto celebre in partenza "Disco per l'Estate" di Saint-Vincent su cui piangere lacrime amare, pensando al successo della manifestazione della Riviera di Ponente se confrontato in modo complessivo allo stato comatoso della nostra Riviera delle Alpi. In questi giorni le polemiche anticipatrici di Sanremo hanno riguardato (qui ci starebbe uno sghignazzo) Rita Pavone, 74enne cantante torinese, specie ormai rara di artista subalpina. Personaggio dello spettacolo a me ben nota sin dall'infanzia per via di "Gianburrasca" da lei impersonata, per le canzonette allegre che cantava e per la torbida storia d'amore - per via della differenza d'età ed in assenza di divorzio - con Teddy Reno, che leggevo sulle riviste tipo "Gente" od "Oggi" che giravano per casa quand'ero ragazzino.

Ad un certo punto era sparita e riappariva come uno zombie in certe trasmissioni trash di Paolo Limiti del pomeriggio in cui con cinismo si tiravano fuori dall'armadio personaggi decaduti per compiacere il pubblico su di età. Capitava, quando si era in giro per l'Italia, di leggere di suoi spettacoli in quel girone di serie B per artisti in quiescenza, tipo sagre o balere e lo scrivo con il massimo rispetto. Lo stesso pubblico "anziano" che fa fare grandi ascolti televisivi a Sanremo in un Paese invecchiato per via della crisi demografica che non accenna a finire. Perché Rita Pavone, detta "Pel di carota", ebbe fra gli anni Sessanta e Settanta un successo travolgente? Umberto Eco segnalava non tanto le doti canore e la sua verve che pure aveva indubbiamente, quanto un côté erotico è così lo spiegava in un suo scritto: «Questa ragazza che camminava verso il pubblico con l'aria di domandare un gelato e le uscivano dalla bocca parole di passione... Quel volto, da cui ormai passato il primo spaesamento, si attendevano ammiccamenti maliziosi, e dichiarava all'improvviso un mondo fatto di semplicità e calze di lana bianche». Il riferimento addirittura alla scandalosa Lolita si fa esplicito: «In Rita Pavone per la prima volta, di fronte a una intera comunità, la pubertà si faceva balletto e acquisiva pieni diritti nell'enciclopedia dell'erotismo a livello di massa, badiamo, e coi crismi dell'organismo di Stato, e dunque agli occhi della Nazione consenziente, non nelle pagine di un Nabokov dedicato ad acquirenti colti, e al massimo ad adolescenti curiosi». Oggi Rita invecchiata si prepara per Sanremo a 48 anni dalla sua prima apparizione all'"Ariston" ed alcuni non la vorrebbero per l'età, ma la rottamazione non vale per alcune fasce di pubblico che - come dicevo - fanno ricco il Festival, altri perché la Pavone si è messa in questi anni a scrivere certe baggianate sui "social" ed ha toccato in particolare in modo grezzo l'intoccabile Greta Thunberg. Su "La Stampa" ha dichiarato alla sempre ottima Marinella Venegoni: «So chi sono, sono una persona per bene, non mi importa niente. Neanche leggo, il giorno che dovessi entrare in politica ne parleremo. Non intendevo dire che Greta è un mostro, alludevo a qualcuno dietro di lei che la muove. Io non ho santi protettori, ho una canzone e forse la faccio bene». I "social" hanno cambiato la vita e la percezione delle persone, cara Rita... «I social sono anti social per antonomasia, credo che non parlerò più di niente ma solo del mio lavoro. Basta dire una parola e viene cambiata, rivoltata, ti trovi in bocca cose che non hai detto. Ormai, non vedo non parlo non sento. Ho avuto una vita felice, sono cattolica e ho avuto tanti doni. Chi mi ama lo ringrazio». Persino "L'Espresso" con Beatrice Dondi l'ha perdonata e mi accodo alle sue parole: «Cinquanta milioni di dischi venduti, cinque volte ospite negli Usa all'Ed Sullivan Show con Ella Fitzgerald e Duke Ellington, una scena divisa con i "Beach Boys", Marianne Faithfull, Orson Welles, "The Animals" e "Supremes", riconosciuta da Elvis Presley, un mese all'Olympia di Parigi, protagonista di ben cinque pagine degli "Apocalittici e integrati" di Umberto Eco, una rivoluzionaria relazione duratura con un uomo più grande di lei, sceneggiati cult, festival, vittorie, dischi d'oro argento e mirra e soprattutto una voce della madonna. In estrema sintesi questo è il curriculum musicale della signora Pavone. A cui di recente è scappata un po' la mano sui dannati social dove ha fatto intendere di avere qualche ideuzza su migranti e dintorni che si fatica a digerire. Rita sovranista, la Zanzara che vuole pungere con la politica, datele un martello, sono stati i primi commenti a caldo. Ma è durata poco. Perché scendere nel merito è uno sport a cui il Belpaese tende a non praticare per principio. Così quando Amadeus ha annunciato la sua presenza a sorpresa tra i 24 cantanti in gara sul palco dell'Ariston, il curriculum della signora Pavone non è stato neppure preso in considerazione. E ipotizzando che avrebbe utilizzato il palco dell'Ariston per celebrare un comizio salviniano anziché imbracciare il microfono addirittura per interpretare il suo brano ("Niente"), è partito l'insulto sull'ardire di aver compiuto 74 anni. Su di lei parole irripetibili, pensieri irricevibili. Perché detto che Sanremo è una kermesse dove l'aspetto musicale è un blando dettaglio e la scatola è di certo più frizzante del contenuto, si tratta pur sempre di una gara dove la voce dovrebbe avere un certo peso. E vista la lista, nessuno meglio della piccola grande Rita ha il diritto di starci. Per cantare, s'intende». Ascolteremo salomonicamente.