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21 dic 2019

Quelli della "Rai" di via Chambéry

di Luciano Caveri

Gli anniversari più profondi sono e peggio è, perché sono loro che ci contano il tempo trascorso da quella partenza evocata, facendo scattare da allora le lancette dell'orologio. Quando le candeline sulla torta non trovano più posto, pudicamente si sceglie una sola candelina, facile da spegnere ed anche meno ammonitrice degli anni trascorsi. Così avviene per i quarant'anni, tondi tondi quest'oggi, del primo telegiornale pubblico della "Rai", cui erano legati quei programmi televisivi nascenti della Struttura di Programmazione, di cui oggi sono responsabile. Quella "Sede regionale per la Valle d'Aosta" nasceva allargando la presenza dell'emittente pubblica che dall'inizio degli anni Sessanta diffondeva via etere "La Voix de la Vallée" con una redazione prima a Torino e poi dal 1968 ad Aosta in via Chambéry, dove una decina di anni dopo - negli eleganti studi radiofonici old style dalla perfetta acustica - iniziarono ad essere confezionati da programmisti-registi anche trasmissioni di vario genere.

Ma la rivoluzione fu appunto l'inizio della televisione: io all'epoca ero in una grande televisione privata, ma due mesi dopo - per i casi della vita - mi ritrovai anch'io assunto come praticante da "Mamma Rai" e vissi quegli anni pionieristici sino al 1987, quando per ventidue anni lasciai l'azienda per mandato politico, e solo nel 2009, cessata l'aspettativa, tornai a fare il mio lavoro nella nuova sede di Saint-Christophe con molti volti nuovi e parecchi colleghi che avevano nel frattempo lasciato la "Rai" o ci avevano lasciati per sempre. Eppure, in un mondo travolto nel frattempo da clamorose evoluzioni tecnologiche e dalla famosa rivoluzioni digitale, il ruolo della "Rai" valdostana - pensando proprio ai programmi che giostrano le tre lingue dei valdostani, italiano, francese e francoprovenzale - resta importante ed ogni tanto penso a come sarebbe il panorama informativo, di approfondimento e intrattenimento se tutto scomparisse come d'incanto. Sarebbe un buco incolmabile. Di quel 1980 e seguenti ho ricordi bellissimi di un periodo esaltante, come tutte le fasi pionieristiche con due personalità fra tutte. Il primo Mario Pogliotti, caporedattore senza eguali per la sua umanità e simpatia e il direttore di Sede, Roberto Costa, burbero e severo ma con un cuore grande. Persone di altra epoca e di diversa statura, forgiati in periodi difficili e con una cultura umanistica che li rendeva comprensivi e pronti alla sfida di dar vita alla scommessa del servizio pubblico. Con loro c'erano giornalisti esperti e nuovi talenti e, nei programmi, programmisti-registi in gamba, così come uno staff tecnico che viveva l'avventura senza risparmiare le energie. Noi, «quelli della "Rai" di via Chambéry», facevamo squadra con segreterie piene di vita, uffici che sprizzavano vitalità, trascinandosi dietro coloro che avevano qualche anno in più. So quanto sia rischiosa la via della nostalgia ed esista la trappola di memorie solo zuccherose e positive. Ma giuro che era davvero così, quando battevamo la Valle con microfoni e telecamere, consci del nostro dovere di civil servant, scavando nelle cose in un mix giusto fra risorse locali che conoscevano la Valle e giovani da fuori che davano una diversa lettura delle cose, e spesso questa esperienza ha sortito importanti carriere professionali. Questa è una logica che va mantenuta, perché non si può pensare di fare informazione e programmi senza contare anche su persone locali, altrimenti sarebbe davvero un paradosso. Certo conteranno molto in futuro, visto che non mi manca moltissimo per chiudere la mia esperienza, le potenzialità delle già citate nuove tecnologie, visto che oggi radio e televisione viaggiano non solo con i tradizionali sistemi di diffusione, ma anche con le nuove potenzialità via Web, tipo streaming e podcast e chissà quali diavolerie si aggiungeranno con le possibilità del "5G". Nel passato a scaldare il cuore sono state le esperienze fatte, le persone conosciute, le storie raccontate e tutto quanto uno si porta nella vita nello zaino che porta sulle spalle. Posso solo dire che - maledizione! - come il tempo è passato troppo presto e mi mancano alcuni che non ci sono più o che ho perso di vista per le circostanze che cambiano le situazioni. Io, però, dopo quarant'anni, mi sento ancora - a costo di apparire ridicolo - nell'animo quel ragazzo che leggeva il telegiornale, mettendoci la faccia, la testa e il cuore, convinto che il servizio pubblico abbia nella nostra Regione un ruolo insostituibile. E sono grato a tutti i miei compagni di strada, con cui ho condiviso momenti bellissimi, piantati come fiori di campo nel mio cervello, nella parte dei ricordi indimenticabili. Viva la "Rai Vd'A"!