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02 dic 2019

La strana politica estera dei pentastellati

di Luciano Caveri

Quando la famosa e lucidissima politologa Sofia Ventura ha scritto un suo editoriale su "La Stampa" di domenica non sapeva che Beppe Grillo - messo in riga il leader traballante dei "Cinque Stelle", Luigi Di Maio - sarebbe andato ad omaggiare (e viceversa) l'Ambasciatore cinese in Italia. Ma quel che aveva scritto ottiene, se possibile, ancora più forza ed è bene tenerlo a mente, perché la politica estera di un Paese non sono bruscolini ed ogni scelta di campo pesa. Dice Ventura: «Il percorso del M5s è sempre più accidentato. La sconfessione della decisione di Di Maio di non partecipare alle prossime elezioni regionali venuta da Rousseau ha rappresentato un vero inciampo. E come accade nei momenti critici, torna fuori il nome di Alessandro Di Battista, un nome improbabile, ma che Di Maio usa come minaccia contro chi davvero conta - perlomeno nelle istituzioni - e che gli sta sottraendo la fiducia. Ma Di Battista, un po' fuori e un po' dentro, pur tuttavia immagine dell'originaria anima movimentista, altermondialista dei 5 stelle, che con Di Maio andò a incontrare l'esponente dei Gilet Gialli Christophe Chalençon e che lo scorso anno batté le strade dell'America Latina ansioso di cogliere i fermenti populisti di quel continente, si dibatte tra la voglia di politica italiana e la passione di "inviato"».

«All'inizio di novembre era partito per l'Iran, poi è dovuto rientrare per la scomparsa della madre - prosegue Sofia Ventura - Ora vi torna. Per scrivere un libro. Probabilmente per raccontare l'esperienza ai lettori italiani. Ma cosa racconterà? Le idee confuse e la voglia di rovesciare le narrazioni non mancano. Scriveva a settembre: "Non vi fidate delle notizie che arrivano dal Medio Oriente, al contrario lavorate per la Pace. Ne va dell'interesse del popolo iraniano, saudita e yemenita e di quello di un mucchio di imprese italiane che hanno sempre lavorato bene con Teheran". Ma l'Iran non è solo la potenza che più destabilizza il Medio Oriente, la teocrazia che ha ripreso l'arricchimento dell'uranio, il regime che reprime il dissenso, detiene il record di condanne a morte, impicca gli omosessuali e conculca i diritti delle donne. In questi giorni spara sui dimostranti nelle tante manifestazioni che si stanno diffondendo nel paese, innescate dall'aumento della benzina, ma che si stanno trasformando in contestazione al regime. Le comunicazioni e Internet sono stati bloccati. Tanto che nemmeno Amnesty International è certa del bilancio sino ad ora: più di cento morti, forse molti di più. Gli avvenimenti desteranno in lui dubbi? Vedremo. Resta l'interrogativo sull'invaghimento per certi regimi. Suo, ma non solo». Fin qui manca la Cina, ma è solo questione di qualche capoverso e all'ubriacatura sudamericana e iraniana si aggiunge quella appunto filocinese: «Di Maio ha voluto consolidare un rapporto privilegiato con la Cina, differenziandosi dagli altri paesi europei, e non ha provato imbarazzo a dichiarare che l'Italia non si immischia negli affari altrui (anche qui differenziandosi dal resto d'Europa), mentre Pechino reprime con la violenza le proteste dei giovani di Hong Kong. Simpatie discutibili, che si mischiano a giravolte disinvolte, come spiegava su queste pagine Francesca Paci, sono la cifra della politica estera del M5s e, quindi, del governo giallo-rosso, che ha Di Maio alla Farnesina. Per una democrazia europea il problema non è di poco conto. Ma non è al centro del dibattito. Prevale tra politica e media l'atteggiamento dello struzzo. Ecco, se Di Battista è simbolo del populismo in politica estera dei grillini, la sottovalutazione di quel populismo è responsabilità di altri. Parafrasando Gaber, più che temere Di Battista in sé, dovremmo temere il Di Battista in noi». Questa storia di dove piazzare l'Italia in politica estera sarà sempre più un interessante cartina di tornasole del gradiente di democrazia.