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02 ago 2019

Un libro in mano

di Luciano Caveri

Capita ancora oggi di incontrare qualcuno che mi ricorda di quand'ero bambino, benché siano esercizi di memoria sempre più rari per ovvi motivi anagrafici. Trovo sempre divertente certa aneddotica perché la rappresentazione, specie se benevola di sé stessi, solletica positivamente il proprio ego ed è sempre piacevole in un mondo troppo spesso avvelenato dalla maldicenza. Mi è sembrata una medaglia dunque quel che mi ha detto di recente un amico di mio papà: «Avevi sempre un libro in mano!», aggiungendo per completezza - ma di questo sapevo bene... - che ero piuttosto birbante ma davo l'immagine di come, accanto a giochi e giocattoli, fossi davvero interessato alla lettura. Non credo con franchezza di essere stato così "intellettuale", però è vero che per i libri ho sempre avuto una grande curiosità e se penso a me bambino ricordo bene della mia voglia di mettermi a guardare, a sfogliare e certo a leggere quanto mi capitava a tiro.

Era anzitutto quella letteratura dell'infanzia fatta di letture quasi obbligatorie cui mi attenevo, ma poi - allora come oggi - sono preso da tutto, perché trovo che non ci si debba vincolare a un solo genere, ma spaziare senza troppo fissarsi. Semmai oggi è il mondo del Web, risorsa utile ma assassina del nostro tempo, con cui devo lottare affinché non mi strappi alle letture, sapendo che se mi immergo in un bel libro riemergo solo a lettura finita, avendo sviluppato senza insegnamenti un metodo di lettura rapida che spesso è stata oggetto di scetticismo anche dei miei cari, infine rassegnatisi a questa mia scoperta d'autodidatta che certo mi avvantaggia e non solo per per i libri. Merito di questa passione bibliofila è di certo di mio papà che nel suo studio di veterinario, dove seduto all'antica scrivania ereditata da mio nonno passava ore a compilare registri utili per monitorare le malattie del bestiame, aveva allestito - e c'è ancora - una vasta biblioteca che debordava e che si era poi diffusa in altre stanze della casa anche sulla spinta dei miei acquisti. Ancora oggi fare pulizia dei libri in eccesso per motivi di spazio è un'operazione dolorosa con infiniti tira e molla su chi sacrificare in nome dello spazio e non ne ho mai abbastanza. Nel mio ultimo trasloco ho dovuto far scelte dolorose e giacciono molti volumi in casse in garage e non so se potrà mai ritrovare certi libri lasciati ad esempio dove oggi abitano i miei figli e che ogni tanto tornerebbero utili quando ne ho bisogno. Ma dicevo della prima biblioteca familiare. Da una parte c'erano questi libri paterni, compresi vecchi volumi ottocenteschi sempre di famiglia di nonno e bisnonno che coprivano materie diversissime fra loro, cominciando da una monumentale enciclopedia "Larousse" in francese che mio padre comprò ad uso suo e di noi figli. Considero quell'enciclopedia una vera e propria maestra: già questa idea dell'ordine alfabetico mi piaceva molto, ma poi mi perdevo nelle voci, quasi sempre illustrate. Ma di enciclopedie ce n'erano altre: una sui popoli del mondo, altre da bambino sulle scienze, cui si aggiungevano atlanti geografici in cui mi perdevo sulle mappe. Poi c'era un vasto e molto vario fondo di libri valdostano assieme romanzi di tutti i generi e libri strani, ad esempio molti di psicoanalisi che mi sforzai di leggere da grandicello. Poi, come dicevo, ad alimentare la biblioteca ci pensai io stesso, sapendo che mai sono stato rimproverato per aver comprato libri con i soldi che mi venivano dati da ragazzino e, diventato piuttosto autonomo economicamente sin da giovane quando cominciai a fare il giornalista più di quarant'anni fa, spendevo in libri persino in maniera compulsiva. Ho continuato a farlo con certe aperture verso audiolibri ed eBook che trovo complementari rispetto alla carta. E non ho intenzione di mollare: leggere arricchisce e ci rende migliori.