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15 lug 2019

La melina nella politica valdostana

di Luciano Caveri

Speriamo che l'estate, come utile pausa per fare il punto in vista della ripresa piena di incertezze e rischi, porti consiglio a tutti, e non mi escludo affatto da questa mia speranza. L'autocritica è esercizio salutare, ma in certe occasioni serve se diventa cimento collettivo, anche da parte di chi si sfila facilmente, sfuggendo alle proprie responsabilità. Diceva Voltaire: «Aucun flocon de neige, ne se sent responsable d'une avalanche». Serve, infatti, riflettere davvero sul "bene comune" per i valdostani e smontare l'idea che solo formule sulfuree, costi quel che costi, salvaguardino la stabilità delle Istituzioni, che - come noto - devono resistere a chi le incarna pro tempore proprio perché tutto non si inceppi.

Sotto due profili critico il presente e mi limito all'essenziale: il primo riguarda la nascita in Regione di maggioranze sempre più improbabili per mantenere Governi in realtà di minoranza con "stampelle" che non vogliono definirsi tali per salvare il senso del pudore; la seconda è, dando respiro all'improbabile sopravvivenza della creatura, avere il coraggio di assegnare ad una Legislatura moribonda compiti di grandi riforme, che fanno sorridere con certe maggioranze tenute su con lo sputo e con l'orizzonte di un anno in cui cambiare il mondo. Sforzo che più che il "David" di Michelangelo ricorda logiche da nani da giardino. Nessuno, in questa fase travagliata e triste ha ricette salvifiche e risposte onnicomprensive, ma l'idea di ridare la parola agli elettori corrisponde ad una logica di buonsenso. La possibilità che ciò non debba avvenire, aspettando tempi migliori, è ovvia per chi teme sconfitte ed ha paura delle vittorie altrui. Si tratta di una visione umanamente comprensibile ma politicamente miope. Non si tiene infatti conto di quanto giochi e giochini incidano su di una crescente incomprensione popolare, che sta volgendosi in rabbia, e ciò prescinde persino e ormai dalle posizioni politiche, essendo diventato patrimonio comune che attacca come un virus certi principi democratici. Le elezioni potrebbero non risultare la medicina che curi tutte le malattie della democrazia valdostana, ma vale forse la pena di provarci e non scomodo troppo la celebre scommessa di Pascal per non risultare eretico. Ma vale la sostanza: è preferibile credere alla chance derivante dalle elezioni piuttosto che non credere e continuare a vivere nella situazione di incertezza di un cupo giorno per giorno per tirare a campare, e non vale il famoso detto di Giulio Andreotti «meglio tirare a campare che tirare le cuoia». Per una semplicissima ragione: continuare a rinviare non risolve problemi importanti, obbligati come si è a trovare equilibri sempre precari e viaggiare a passo d'uomo per evitare gli ostacoli. Per cui anche chi considera il voto un rischio personale o per il proprio partito dovrebbe fare uno sforzo - nel ragionamento circolare - e dare la parola ai cittadini. Potrebbero sbagliare nella loro scelta? Certo. Esiste il rischio che si possano prendere strade sbagliate con la forza delle schede elettorale? Può succedere. Può essere che chi oggi ha ruoli di potere non li abbia più e torni alla sua vita privata? E' accaduto spesso. Eppure, aveva ragione Luigi Einaudi - che aveva di certo in mente quando il voto era stato cancellato dal fascismo in nome della logica del plebiscito - nel ricordare da liberale federalista: «Il suffragio popolare è un mito e su ciò credo che potremo essere tutti d'accordo; ma è un mito necessario ed il migliore che finora sia stato inventato». Quando ci vuole ci vuole. Il resto è melina.