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24 giu 2019

Per favore, silenzio!

di Luciano Caveri

Il silenzio è una dimensione dalle molte sfaccettature, anche se può apparire un paradosso scriverlo. Se penso alla mia vita ho in mente e nelle orecchie tanti silenzi. Il primo che mi viene in mente sono certi silenzi dell'alta montagna d'estate, quando steso in un prato assapori quei momenti rilassanti in cui ti chiudi per un attimo in te stesso. Poi penso al silenzio ovattato quando nevica e tutto diventa felpato, quasi irreali in una dimensione onirica. Mi viene in mente il silenzio irreali di quando da bambino mi infilavo sotto un canotto rovesciato, chiuso fra la plastica e il mare. Oppure quel silenzio dello studio radiofonico in legno, insonorizzato perfettamente, della vecchia sede "Rai" di Aosta in cui tu stesso ti sentivi attutito.

Esistono silenzi ostili e di dolore, quando dentro di te ci sono moti di rabbia, di tristezza e purtroppo di lutto, o silenzi - al contrario - pieni d'amore e sentimento, quando guardi negli occhi una persona cara e ti senti sospeso in una dimensione irreale. Esistono silenzi buoni, come far piano per non svegliare un bambino, vegliare un malato con rispetto, tacere di fronte a chi ha ragione, ma ci sono silenzi fatti di odio o di risentimento che vogliono ferire e chiudono il dialogo con ostinazione. Il poeta Edgard Lee Masters ha scritto in un passaggio di una sua poesia: «C'è il silenzio di un grande odio e il silenzio di un grande amore e il silenzio di una profonda pace dell'anima c'è il silenzio degli dei che si capiscono senza linguaggio c'è il silenzio della sconfitta e il silenzio di coloro che sono ingiustamente puniti e il silenzio del morente la cui mano stringe subitamente la vostra c'è il silenzio che interviene tra il marito e la moglie c'è il silenzio dei falliti il vasto silenzio che copre le nazioni disfatte e i condottieri vinti».

Bisogna stare zitti per ascoltare gli altri e viceversa, bisogna tacere per godere certe bellezze della Natura o dell'Arte, il silenzio accompagna la lettura e lo studio. Ma ormai, in questi tempi di retorica vecchia e nuova, di strepiti e urla, di improperi e insulti, di annunci e blablabla mi sono convinto che ci vorrebbe una Convenzione del Buonsenso e una cappa di silenzio pensoso dovrebbe calare sulla Politica, perché il troppo stroppia e rende l'eccesso di parole un fenomeno osceno. Sarò snob ma non se ne può più di azione e reazione, detto e ridetto, insulto contro insulto, urlare alla luna, comiziare con volgarità, aggredire verbalmente, stupire con iperboli, inseguire il desiderio delle folle e via con molte altre esagerazioni che urtano udito e intelligenza. Amplificatori mostruosi sono i "social" ed ancor di più le televisioni che straparlano di politica con personaggi da "Circo Barnum": più fanno orrore e più diventano fenomeni da baraccone che devono stupire. Il buonsenso è anche trovare il Silenzio, quando è d'oro. Bisognerebbe contare sino a dodici, come in una poesia di Pablo Neruda: «Ora conteremo fino a dodici e tutti resteremo fermi. Una volta tanto sulla faccia della terra, non parliamo in nessuna lingua; fermiamoci un istante, e non gesticoliamo tanto. Che strano momento sarebbe senza trambusto, senza motori; tutti ci troveremmo assieme in un improvvisa stravaganza. Nel mare freddo il pescatore non attenterebbe alle balene e l'uomo che raccoglie il sale non guarderebbe le sue mani offese. Coloro che preparano nuove guerre, guerre coi gas, guerre col fuoco, vittorie senza sopravvissuti, indosserebbero vesti pulite per camminare coi loro fratelli nell'ombra, senza far nulla. Ciò che desidero non va confuso con una totale inattività. E' della vita che si tratta... Sul Se non fossimo così votati a tenere la nostra vita in moto e per una volta tanto non facessimo nulla, forse un immenso silenzio interromperebbe la tristezza di non riuscire mai a capirci e di minacciarci con la morte. Forse la terra ci può insegnare, come quando tutto d'inverno sembra morto e dopo si dimostra vivo. Ora conterò fino a dodici e voi starete zitti e io andrò via».