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12 giu 2019

L'impietoso confronto per il 2 giugno

di Luciano Caveri

Prendete un microfono ed una telecamera e toglietevi la soddisfazione di capire, intervistando a casaccio le persone per strada, se il mio è realismo o pessimismo, e scoprirete in fretta quale sia l'esatta consapevolezza attorno al 2 giugno, Festa della Repubblica Italiana. Sarà facile constatare la larghissima ignoranza sul perché della data ed annotare come la partecipazione popolare sia del tutto assente e persino l'anniversario dei settant'anni dalla sua fissazione definitiva con la legge numero 270 del 27 maggio 1949, è stata dimenticata, come segno di una festività con nessuna affezione, anzi colpita da un crescente oblio nelle sue ragioni fondative. Ed è la rappresentazione plastica di un'evidenza: malgrado nazionalisti e sovranisti esaltino come non mai certi aspetti retorici e muscolari della coscienza nazionale e dell'italianità come clava contro tutto e tutti, la Festa resta confinata in celebrazioni ufficiali tristi e ripetitive, mancando all'appuntamento gli italiani che considerano nella stragrande maggioranza dei casi questa festività utile - non quest'anno - per i famosi "ponti" nella gradita bella stagione.

Pensare che la data non ha nulla di banale, perché il 2 e 3 giugno del 1946 gli italiani - a chiusura del Ventennio fascista e come giusto regolamento di conti con la Monarchia sabauda e le sue colpe per la dittatura - votarono al referendum istituzionale che li invitava a scegliere tra Monarchia e Repubblica. Si trattò della prima votazione a suffragio universale in Italia e vinse la Repubblica con circa due milioni di voti in più, anche se sin da subito gli sconfitti montarono storie su storie su brogli elettorali e su un risultato contrario delle urne celato appositamente. Il solito complottismo, mentre la verità è semmai che fu la prima dimostrazione, con un Sud monarchico, che la Resistenza era stata ed era rimasta, con qualche eccezione, soprattutto un "vento del Nord" e che oggi avremmo meno neofascisti in giro se non ci fosse stata ambiguità nel dopoguerra e si fosse fatta la necessaria pulizia a fondo di chi era stato complice con il regime e si fosse insegnata per tempo la storia di quegli anni a scuola. Ha detto, in queste ore, il Capo dello Stato Sergio Mattarella, che dovrebbe - con l'onestà e la rettitudine che conosco - dare una bella ripulita alla festa della vigilia al Quirinale e togliere quella mondanità romanesca che mi fa orrore: «Il 2 giugno è la festa degli italiani, simbolo del ritrovamento della libertà e della democrazia da parte del nostro popolo». In questo giorno così speciale per gli italiani si «rinsalda la leale adesione e il sostegno dei cittadini all'ordinamento repubblicano, nella sua articolazione, allo stesso tempo unitaria e rispettosa delle proprie autonomie, sociali e locali». Si vede con chiarezza come, in epoca di centralismo imperante, il regionalista Mattarella ricordi le Autonomie ed anche in Valle dovrebbe essere questa la chiave di lettura: la Repubblica è un concetto in cui la stessa Autonomia valdostana rientra a pieno titolo e non è un'intrusa come pare sia considerata in modo crescente da alcuni poteri dello Stato. Segno di una democrazia italiana che resta debole e immatura e l'impressione è che questa sua fragilità è tale che basti davvero poco per metterla in discussione per la debolezza della coscienza democratica degli italiani. E proprio la comparazione con Feste nazionali di democrazie più antiche risulta impietosa per il nostro 2 giugno. Basta guardare a cosa capita nel giorno dell'Indipendenza degli Stati Uniti ("Independence Day"), noto anche come 4 luglio. Si tratta della festa nazionale degli Stati Uniti che commemora l'adozione della "Dichiarazione di indipendenza" il 4 luglio 1776, con la quale le tredici Colonie si distaccarono dal Regno di Gran Bretagna. I festeggiamenti vengono svolti solitamente attraverso momenti collettivi allegri come fuochi d'artificio, parate, barbecue, picnic, concerti, partite di baseball, partite di basket, cui si aggiungono cerimonie più ufficiali che celebrano in gran pompa la storia, il governo e le tradizioni degli Stati Uniti d'America. Bastano due passi per constatare analogamente la forza della festa nazionale francese (la "Fête nationale" o, più comunemente, «le 14 Juillet») in un clima pieno di partecipazione popolare e non solo nel chiuso dei palazzi. La Festa nazionale è stata istituita nel 1880 per commemorare la "Festa della Federazione" del 1790, giorno dell'unità nazionale, e non semplicemente - come si crede - per la "Presa della Bastiglia". Comunque sia, negli States come in Francia ed in decine di altri Paesi, le Feste nazionali non sono vissute come date vacanziere o semplici momenti di cerimonie protocollari, perché scorrono nelle vene emozione e gioia e il confronto con l'Italia - e il suo collante fatto di commende e alzabandiera - è davvero spietato.