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12 giu 2019

Dietro alla crisi dei partiti

di Luciano Caveri

La politica non vive in un mondo fatato, essendo fatta da persone in carne ed ossa e sapendo che ogni "scelta politica" ha conseguenze concrete, e non è solo trasformazione di idee in progetti astratti, ma agisce sulla quotidianità e sul fattuale, nel bene e nel male. Si tratta dunque di attività umanissima ed i meccanismi elettorali non premiano sempre solo i capaci e i meritevoli, ma esiste sempre chi si infila in politica come ultima spiaggia, contando o su elettori gonzi o legati dall'antica logica del "do ut des", che alimenta clientela e purtroppo malaffare. Non è solo una questione di inchieste giudiziarie che pesano dappertutto, ma esiste una irrisolta questione morale, che deve consentire con chiarezza di escludere dalle Istituzioni chi ne risulti indegno e l'arma ce l'hanno in mano anzitutto gli elettori prima ancora dei giudici.

Inutile inoltre contarsi balle: gli unici in grado di fare politica, influendo di fatto su scelte e decisioni, sono anche in Valle d'Aosta quelli pagati per farlo. Così i partiti e i movimenti che contano hanno come loro spina dorsale gli eletti in Consiglio Valle ed un certo numero di sindaci. Il famoso ruolo autonomo delle forze politiche deve fare i conti con la realtà di chi, certo "pro tempore", si trova nelle Istituzioni ed ha possibilità e risorse per occuparsi della politica e dei suoi riti. Per cui - può piacere o no - ogni tentativo di indirizzo politico da parte dei partiti versus gli eletti funziona, ma esattamente al contrario! Un'ulteriore constatazione è che il mondo autonomista, che agogna alla rinascita di un soggetto politico unificato, ha al proprio interno, ormai radicati, "battitori liberi" che remano contro quotidianamente, perché sanno che - venuta meno l'attuale dispersione che rende le maggioranze politiche in Regione addirittura legate ad un solo voto - perderebbero il loro peso contrattuale con il rischio di contare poco o nulla e di perdere in prospettiva il proprio seggio, che in certi casi è il loro solo lavoro, o è una fonte di reddito molto diversa da quella che hanno lasciato una volta eletti. Le situazioni di scontri interni a partiti deflagrati con iscritti e militanti attivi ridotti a poca cosa rendono impossibile ogni scatto culturale e reali momenti di progettualità che diventino carburante di proposte che finiscano per confluire nei meccanismi decisionali della democrazia. Per cui alla crisi di istituzioni perenni "anatre zoppe" che obbligano a navigare a vista con Amministrazioni che soffrono di una politica ferma ed inetta e con dirigenti di vecchia scuola che fuggono verso la pensione, si aggiunge la morte del ruolo di mediazione dei partiti fra "camarille" dei pochi che ci sono e "fuggi fuggi" dei cittadini un tempo interessati a partecipare. Nel vuoto che complessivamente si sta creando, maturano le condizioni di un'Autonomia valdostana posta di fronte ad uno scenario deprimente e con un crescente numero di persone che decidono non solo di non votare o di votare per protesta, ma scelgono di non occuparsi neanche più di striscio della "cosa pubblica". Una sorta di rinuncia dolorosa, come una diserzione civile che ha delle sue ragioni profonde in un misto fra delusione e schifo. Reagire non è facile e trovo molte persone che chiedono a me per le esperienze maturate - e sono onorato che lo facciano - quale possa essere una strada da intraprendere. Non credo che oggi si possa fare nulla di diverso che trovare un momento per capire se, ognuno liberatosi da zavorre e "traffichini", esistano ancora spazi per persone di buona volontà di trovare il comune denominatore, agendo senza clamore. Il resto sono chiacchiere, perdita di tempo e persino malafede, che peggiorano la situazione, fingendo di volerla migliorare. Ma anche dei più abili prestigiatori si scoprono i trucchi.